venerdì 27 marzo 2009

Il caso Mentana e il mestiere di giornalista

Troppo spesso, negli ultimi tempi, sento ripetere frasi del tipo: i giornalisti dovrebbero essere imparziali, oppure, i giornalisti devono sentire le opinioni di tutti, o ancora, il tizio che ha scritto la tale notizia non è un buon giornalista e, infine, prima di scrivere qualcosa bisogna accertarsi se è vero. Sembra che tutti abbiano imparato il mestiere di giornalista, insomma, tra le materie comprese nella disciplina della tuttologia adesso, oltre alla politica e al mestiere di allenatore della nazionale di calcio, c’è anche quello del giornalista. Poi non si capisce perché tutti hanno licenza di trasgredire le più elementari norme etiche, in politica e nel lavoro, mentre i giornalisti devono essere, per decreto, corretti moralmente. A tutti, specie a qualunque tipo di personaggio pubblico, è data licenza di dire e fare tutto e il contrario di tutto, mentre dai giornalisti ci si aspetta una predisposizione genetica alla serietà, alla professionalità, bisogna che siano costituzionalmente sempre al di sopra delle parti, non devono esprimere giudizi, devono essere terzi per legge. A me pare che tutta questa prosopopea del, “so tutto io del giornalismo “, serva per nascondere la richiesta del tipo; potresti scrivere, per favore sotto dettatura, quello che ti dico di scrivere? Come se il giornalista non avesse una testa sua, non pensasse delle cose sue, non si facesse delle sue opinioni sulle cose che vede e sente. Forse opinioni sbagliate, a volte giuste, a volte frutto di percezioni, ma se qualcuno o qualcosa diventano oggetto di notizia, nel bene e nel male, ci deve pur essere un motivo. E poi, per fortuna, almeno in ambito locale, molto meno nel sistema nazionale che è molto omologato, c’è una vasta offerta di informazione. Giornali e blog locali, Tv, radio, chiunque può scrivere e informare e scrive e dice quello di cui è convinto, cosa che è vietata ai giornalisti. Però, ecco, siccome capisco che lo sforzo di individuare il bravo giornalista lo fanno in molti, voglio aiutare chi legge indicando l’esempio recente di un vero giornalista, Enrico Mentana. Il curriculum del, consentitemi l’autoelogio, collega Mentana è vastissimo e colmo di successi professionali riconosciuti nei più alti ambiti del giornalismo italiano e non solo. Enrico è stato capace di mollare, da un giorno all’altro, l’ultimo programma che aveva ideato, “Matrix”, perché è stato censurato dal suo editore che gli ha impedito di trattare il caso Englaro la sera della morte della giovane Eluana. Ecco, forse nella testa del suo editore, e non solo nella sua testa, c’era una frase del tipo; i giornalisti dovrebbero essere imparziali, oppure, i giornalisti devono sentire le opinioni di tutti, o ancora, il tizio che ha scritto la tale notizia non è un buon giornalista e, infine, prima di scrivere qualcosa bisogna accertarsi se è vero e poi anche, i giornalisti sovvertono la verità. Tutto questo bailamme per occultare la vera richiesta; scrivi, fai, tratta, quello che ti dico io. Enrico Mentana ha preso atto di questo, si è ribellato ad un’imposizione che era la negazione del suo mestiere, ha fatto i bagagli da gran signore ed è andato via piantando baracca e burattini. Ho sentito troppe poche voci che abbiano difeso Mentana o invocato l’urgenza di riconsegnarlo al suo mestiere. Un invito a tutti coloro che leggono, le critiche sono sempre ben accettate e, lo assicuro per me, fonte di riflessione ma lasciateci fare il nostro lavoro.

Il caso Mentana e il mestiere di giornalista

Troppo spesso, negli ultimi tempi, sento ripetere frasi del tipo: i giornalisti dovrebbero essere imparziali, oppure, i giornalisti devono sentire le opinioni di tutti, o ancora, il tizio che ha scritto la tale notizia non è un buon giornalista e, infine, prima di scrivere qualcosa bisogna accertarsi se è vero. Sembra che tutti abbiano imparato il mestiere di giornalista, insomma, tra le materie comprese nella disciplina della tuttologia adesso, oltre alla politica e al mestiere di allenatore della nazionale di calcio, c’è anche quello del giornalista. Poi non si capisce perché tutti hanno licenza di trasgredire le più elementari norme etiche, in politica e nel lavoro, mentre i giornalisti devono essere, per decreto, corretti moralmente. A tutti, specie a qualunque tipo di personaggio pubblico, è data licenza di dire e fare tutto e il contrario di tutto, mentre dai giornalisti ci si aspetta una predisposizione genetica alla serietà, alla professionalità, bisogna che siano costituzionalmente sempre al di sopra delle parti, non devono esprimere giudizi, devono essere terzi per legge. A me pare che tutta questa prosopopea del, “so tutto io del giornalismo “, serva per nascondere la richiesta del tipo; potresti scrivere, per favore sotto dettatura, quello che ti dico di scrivere? Come se il giornalista non avesse una testa sua, non pensasse delle cose sue, non si facesse delle sue opinioni sulle cose che vede e sente. Forse opinioni sbagliate, a volte giuste, a volte frutto di percezioni, ma se qualcuno o qualcosa diventano oggetto di notizia, nel bene e nel male, ci deve pur essere un motivo. E poi, per fortuna, almeno in ambito locale, molto meno nel sistema nazionale che è molto omologato, c’è una vasta offerta di informazione. Giornali e blog locali, Tv, radio, chiunque può scrivere e informare e scrive e dice quello di cui è convinto, cosa che è vietata ai giornalisti. Però, ecco, siccome capisco che lo sforzo di individuare il bravo giornalista lo fanno in molti, voglio aiutare chi legge indicando l’esempio recente di un vero giornalista, Enrico Mentana. Il curriculum del, consentitemi l’autoelogio, collega Mentana è vastissimo e colmo di successi professionali riconosciuti nei più alti ambiti del giornalismo italiano e non solo. Enrico è stato capace di mollare, da un giorno all’altro, l’ultimo programma che aveva ideato, “Matrix”, perché è stato censurato dal suo editore che gli ha impedito di trattare il caso Englaro la sera della morte della giovane Eluana. Ecco, forse nella testa del suo editore, e non solo nella sua testa, c’era una frase del tipo; i giornalisti dovrebbero essere imparziali, oppure, i giornalisti devono sentire le opinioni di tutti, o ancora, il tizio che ha scritto la tale notizia non è un buon giornalista e, infine, prima di scrivere qualcosa bisogna accertarsi se è vero e poi anche, i giornalisti sovvertono la verità. Tutto questo bailamme per occultare la vera richiesta; scrivi, fai, tratta, quello che ti dico io. Enrico Mentana ha preso atto di questo, si è ribellato ad un’imposizione che era la negazione del suo mestiere, ha fatto i bagagli da gran signore ed è andato via piantando baracca e burattini. Ho sentito troppe poche voci che abbiano difeso Mentana o invocato l’urgenza di riconsegnarlo al suo mestiere. Un invito a tutti coloro che leggono, le critiche sono sempre ben accettate e, lo assicuro per me, fonte di riflessione ma lasciateci fare il nostro lavoro.

venerdì 20 marzo 2009

Intervista al sen. Giulio Andreotti

Questa intervista a Giulio Andreotti è stata realizzata insieme ad Ino Cardinale a Roma, a Palazzo Giustiniani, per chiedere una testimonianza al senatore sul pensiero di Don Sturzo, in occasione di un convegno che si è tenuto a Terrasini dal titolo: Per una nuova speranza. La testimonianza di Don Sturzo al servizio del paese. Le risposte del senatore contengono concetti molto significativi che vale la pena di ascoltare.




martedì 17 marzo 2009

An e F.I si fonderanno nel Pdl. L’innovazione del bagaglio ideologico del partito di Fini

An e Forza Italia, il prossimo 27 marzo, fonderanno il Partito delle Libertà. In svantaggio sembra il partito di Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini, che si trova a competere con la leaderschip di Sivlio Berlusconi. Tuttavia, a parte il fatto che lo fa da più di 15 anni, i più attrezzati dal punto di vista dell’elaborazione ideale e di pensiero e che abbiano un progetto di paese sono gli uomini di An. L’Italia è molto cambiata negli ultimi 20 anni e la destra italiana ha saputo interpretare le nuove esigenze di una società in continuo movimento. Ha tradotto pragmaticamente l’esigenza di semplificazione del quadro politico riconoscendo nel bipolarismo, la formula con la quale governare un paese moderno e, soprattutto, innovare il suo bagaglio ideologico più di quanto altri abbiano saputo fare. In sintesi, la gran parte degli uomini di destra hanno saputo essere molto meno fascisti di quanto la gran parte degli uomini di sinistra hanno continuato a sentirsi, nell’esercizio del potere, comunisti. Inoltre, Forza Italia non esce e non può farlo, dalla concezione di partito azienda. Sicchè, vien da pensare, quello che si consumerà da qui a qualche giorno con la fondazione del Pdl, è il compimento di un lungo processo politico che ha coinvolto i vertici quanto la base del partito e può diventare l’investimento sul futuro, da parte degli uomini di An, al contrario di quel che finora hanno saputo fare gli uomini che vorrebbero interpretare le ragioni del riformismo italiano e non si sono sbarazzati ancora, o lo fanno con estrema lentezza, dei cascami e delle incrostazioni ideologiche buone solo alla salvaguardia di una oligarchia improduttiva.

lunedì 16 marzo 2009

A Terrasini si è celebrato la ricorrenza dell’appello Ai liberi e forti lanciato 90 anni fa dal prete di Caltagirone

La testimonianza di Don Luigi Sturzo al servizio del paese



Una lezione moderna, attuale, che arriva in un momento storico nel quale si ravvisa, di giorno in giorno, l’esigenza di una nuova rinascita etica e morale, per una nuova certezza dei diritti e dei doveri, per una ritrovata speranza nel lavoro, per una nuova esigenza di solidarietà tra gli uomini e i cittadini, per la ritrovata esigenza di riconfermare lo Stato democratico, così come lo abbiamo conosciuto negli ultimi 60 anni, tra alti e bassi, tra gioie e dolori, tra successi e insuccessi. La lezione di Don Sturzo, che aveva una visione limpida dell’impegno dei cattolici in politica, l’affermazione dei principi e dei valori del cattolicesimo sociale attraverso l’indiscutibile piattaforma democratica, è sempre più attuale. Un ritrovato messaggio analizzato - il 16 marzo scorso a Terrasini in un convegno organizzato da Ino Cardinale e coordinato dal dott. Vincenzo Morgante dal titolo: Per una nuova speranza. La testimonianza di Don Luigi Sturzo al servizio del paese - da autorevoli relatori come i Vescovi di Piazza Armerina e Monreale, Mons. Michele Pennisi e Mons. Salvatore Di Cristina, accanto al Sen. Calogero Mannino e con l’ausilio di un’intervista rilasciata dal sen. Giulio Andreotti. “Non si può – ha detto il Sen Andreotti – dividere l’uomo politico dall’uomo religioso, dai suoi ideali, dai suoi principi. La politica non è tecnica ma il mezzo attraverso il quale realizzare i fini cui si ispira”. I fini di Don Sturzo erano quelli declamati dalla dottrina sociale della Chiesa, la solidarietà tra gli uomini, la libertà di autodeterminarsi, come uomini e come istituzioni e la consapevolezza che lo Stato, l’Economia e la Società sono posti al servizio delle libertà degli uomini. Don Sturzo è stato capace, partendo da un piccolo paesino della dimenticata provincia siciliana, del profondo sud, di risolvere il conflitto aperto con la fine del potere temporale della Chiesa e restituire ai cattolici la libertà di impegnarsi in politica accettando e, anzi, accogliendo i valori dello Stato laico, interpretando la religione solo come l’ispirazione all’agire politico, non come dogma indiscusso. Sono questi i concetti ricorrenti che sono stati declamati negli interventi degli oratori, di fronte ad una platea attenta e numerosa, in un momento storico critico nel quale ogni certezza sembra dissolversi di fronte ad una crisi sociale, politica ed economica che sembra difficile da fermare.

mercoledì 11 marzo 2009

L'imperativo categorico e le cariche di Pisa

Qualche giorno fa è passata di straforo sui Tg e i giornali, la notizia che a Pisa ci sono stati scontri tra alcuni studenti e la polizia. Perché la polizia ha caricato gli studenti?
Dalle notizie che sono state date non si capisce molto bene. Pare che gli studenti volevano entrare in ateneo e assistere alla presentazione del libro scritto dall’ex Presidente del Senato Marcello Pera dal titolo,“Perché dobbiamo dirci cristiani”, e fare qualche domanda al Senatore. Magari criticarlo, fischiarlo se del caso. Non fosse altro che per l’imperativo categorico contenuto nel titolo. Per prevenire le contestazioni pare che l’ingresso agli studenti sia stato vietato. Sono, quindi, iniziate le proteste, grida, insulti e, alla fine, è stato acceso un fumogeno. Da quel momento sono partite le cariche della polizia in tenuta antisommossa. Fatale che qualcuno si sia fatto male. Nessuno vuole giustificare gli atti di violenza ma l’atteggiamento della polizia mi è sembrato esagerato. Perché vietare l’ingresso in ateneo agli studenti? Perché vietare l’esercizio della critica? Perché non misurarsi con chi la pensa diversamente? Non basta avere ragione, dice una massima attribuita all’On. Giulio Andreotti, bisogna che qualcuno te la riconosca. Una massima che Marcello Pera non vuol seguire. Non mi voglio unire al coro di chi dice che siamo sull’orlo di una nuova dittatura, o meglio, in un regime di democrazia autoritaria, ma convincetemi che non è così, perché troppe cose cominciano a dimostrare il contrario.



http://www.youtube.com/watch?v=lrtAKmnhDgw
http://rassegna.governo.it/testo.asp?d=32976406

domenica 8 marzo 2009

Carlo Lucarelli. "Se non si reagisce si è già morti di tante cose"

Carlo Lucarelli, più che giornalista, si dice scrittore. Dice di lui che è un divulgatore del lavoro che fanno i giornalisti, ottimi giornalisti, che raccolgono informazioni. “L’idea, la convinzione comune – dice Lucarelli intervistato in occasione di un recente incontro tenuto in un locale di Palermo – è che l’informazione non fa notizia. I media ci propinano ciò che fa notizia ma che non notizia non è”. Un campo minato quello dello stato dell’informazione in Italia. Per l’uomo di “Blu notte” il programma che l’ha reso famoso, i lettori non giudicano ciò che leggono e vedono ma dove lo leggono e dove vedono, su quali giornali, su quali televisioni. “Mi piacerebbe sentir parlare della crisi e della parte criminale del lavoro, della cronaca nera e della riflessione sulla cronaca nera”. Non tutto è perduto. Di fronte alla perdita di orizzonte, parte dell’opinione pubblica ha sete di informazione ed è informata molto più di quel che crediamo. “La mafia, l’economia criminale, non sono più fenomeni circoscritti a singole regioni d’Italia. Sono fenomeni dilaganti che si trovano ovunque – afferma l’uomo in blu – per questo motivo ogni anno a Casalecchio parliamo di fenomeni criminali, di etica, di bellezza, di legalità, tutte cose che potrebbero sembrare lontanissime da quel posto e invece sono molto vicine e sentite da molte persone che vengono a seguire quegli eventi, le discussioni e gli approfondimenti sui temi trattati. Segno che esiste il bisogno d’informazione”. Un messaggio di ottimismo, seppur condito dalle cattive notizie, dalla cronaca nera, dalle commistioni mafia-politica, dall'illegalità diffusa. Un ottimismo, o meglio un messaggio di speranza che per Carlo Lucarelli arriva dai giovani. “C’è la consapevolezza che non si può più aspettare – ci dice Carlo – non c’è più tempo e ciò che ieri si poteva rimandare a domani oggi non si può più e poi la speranza di un riscatto civile c’è perché senza speranza si è già morti. Morti di tante cose, di mancanza di lavoro, di assenza di etica, di legalità”. Si riparte dai ragazzi, dalla loro riscossa civile ed è “bello pensare – conclude Lucarelli con la sua voce suadente che non lascia spazio alle ambiguità, che questa partenza dei giovani si porti dietro anche quella dei vecchi che si agganciano a questo carro che si muove”.