venerdì 28 novembre 2014

La contraddizione sanabile tra sviluppo e progresso

Eccole li, le troveremo presto uguali a questa sorte come funghi in mezzo al mare e quando saranno visibili, le troveremo perfino misteriosamente belle. Prima, quando vedevamo crescere case lungo la costa vicinissime al mare o ponti, strade o piste di aeroporti a tagliare boschi e prati, pensavamo che erano belle cose e che tutto quel cemento era il prezzo per lo sviluppo, per il necessario stare sempre meglio e bene. Tutto sommato questa visione aveva un senso, perché era il segno di un progresso che coinvolgeva direttamente la vita degli individui, con una macchina nuova, la casa più grande, il frigorifero, la lavastoviglie, lo stereo di casa, la scuola o l'università per i propri figli. Ma adesso non è più così. Abbiamo scoperto che il concetto di sviluppo è diverso da quello del progresso, che produrre cibo di matrice chimica in abbondanza ha determinato l'insorgere di nuovi problemi, la celiachia, le allergie sempre più invadenti, i virus e i batteri sempre più resistenti agli antibiotici.
Abbiamo compreso che, per paradosso, anche grazie allo sviluppo selvaggio degli scorsi decenni, oggi possiamo investire sul progresso tutelando il patrimonio complessivo dei territori che abitiamo.
L'investimento nel comparto del turismo, del biologico agricolo, delle energie alternative ci consente di realizzare rendimenti di scala diffusi e percepibili dalla collettività.
Non si è pregiudizialmente contro le trivelle, perché tutti siamo consapevoli di avere ancora la necessità giornaliera del petrolio. Si è contro le trivelle perché sappiamo altresì, che quell'attività ci consentirà di accendere ancora per qualche tempo il motore della nostra automobile che sarà, però, sempre più vecchia e che i guadagni percepiti dall'attività estrattiva andranno a beneficio di pochi e saranno lauti per le multinazionali ma modesti per tutti gli altri, mentre il degrado e la spoliazione del territorio e delle risorse che contiene riguarderà tutti.
Già oggi esiste l'attività estrattiva in Sicilia, gli impianti di Gela, Priolo e Milazzo stanno li a testimoniarla e, quindi, la domanda che ci si pone è perché bisogna intensificarla?
In fin dei conti, siamo figli di quell'attività, con il lavoro creato da quell'attività ma anche dell'intensificarsi delle patologie tumorali per chi quelle zone le abita.
Dunque bisogna solo far finta di non vedere?
Il problema è che siamo in mezzo ad una contraddizione insanabile.
Quando trent'anni fa l'Italia si pronunciò contro il nucleare, sembrò che un consistente manipolo di sciocchi, che nel paese si ritrovò maggioranza, avesse scelto deliberatamente l'impoverimento energetico e precluso la crescita, scegliendo la via della povertà.
Oggi sappiamo che non fu così e la reazione fu quella della creazione di un tessuto economico atomizzato sul territorio e fatto di piccole e medie imprese, che hanno prodotto know how venduto in tutto il mondo e che oggi è svenduto a causa di un mercato della finanza che condiziona le nostre vite.
Oggi non c'è un Enrico Mattei che opera sul mercato del petrolio mondiale per affrancarsi dall'egemonia delle multinazionali del greggio. Oggi siamo solo di fronte non solo al rischio di vedere perduto un patrimonio di cui trent'anni fa non eravamo consapevoli di possedere, ma siamo anche di fronte alla svendita delle risorse petrolifere che sono consegnate, insieme alla perdita del patrimonio naturale, alle multinazionali di cui oggi come allora, non conosciamo il volto.  
La sensazione che abbiamo oggi è quella di un'attività di razzia del territorio non di sviluppo, meno che mai di progresso.

domenica 23 novembre 2014

Nessuno sfugge alle colpe dei padri né a quelle dei mafiosi


Don Giuseppe Puglisi avrebbe accolto quel ragazzo. La cosa più sensata che ho letto è stata il suggerimento di far svolgere la cerimonia della Cresima al figlio del carnefice del prete di Brancaccio, proprio nella cappella dove questi è sepolto. Ma dubito che un tale segnale sarebbe stato davvero colto nel suo dirompente significato e il Cardinale Romeo si trova a dover fronteggiare le povere cose di umana ragione, non proprio quelle ideali e, quindi, per prevenire quelle che sarebbero state le voci di critica, secondo me anche di coloro i quali oggi condannano la sua scelta, ha vietato a X Graviano di partecipare alla cerimonia collettiva in Cattedrale. A lui la Cresima verrà data altrove. Ha fatto bene o male? Se il ragazzo che frequenta il CEI, il collegio esclusivo dei gesuiti, è degno di ricevere il sacramento della Cresima ha fatto male. Accanto alla tomba del beato Puglisi o altrove è lo stesso, sia che sia degno o meno. Tuttavia, non possiamo far finta che in questo come in altri casi, il Mistero del Sacramento non c'entra nulla ma c'entra la cerimonia che c'è dietro, gli orpelli che la sostengono. Se io fossi stato al posto (me ne scuso con il Cardinale) di Sua Eccellenza Romeo, avrei chiesto (o imposto?) a tutti i partecipanti colleghi di X Graviano, di ricevere il Sacramento della Cresima nel più sperduto e povero eremitaggio della Sicilia, in segno di solidarietà cristiana con il ragazzo costretto (senza colpa?), a farsi carico delle odiose malefatte del padre. Chissà quali e quante critiche si sarebbero sollevate in questo caso, perché in questo modo anche agli altri (senza colpe) sarebbe stata sottratta la solenne cerimonia in Cattedrale. Quindi, per quanto questo possa significare, sono convinto che qualcuna cosa avesse fatto il Cardinale, non sarebbe sfuggito alle critiche e di tutte quelle che poteva fare, questa é stata la più saggia, o quantomeno che tale possa ritenersi in questi tempi così colmi di opportunismo, pelosa morale, ipocrisia imperante.

venerdì 21 novembre 2014

Dalle rinnovabili alle trivelle. Il doppio salto mortale della Sicilia sulle fonti energetiche.


È una vera e propria sberla quella che è arrivata dalle rivelazioni de la Repubblica, sull'accordo firmato dal Governo Crocetta e le multinazionali del petrolio. Il Governatore ha concesso le autorizzazioni alle trivellazioni nel Canale di Sicilia, accompagnate dalla garanzia che le royalty restino invariate, a prescindere dalle decisioni del Parlamento Regionale. In cambio, i magnati del petrolio hanno garantito il mantenimento degli attuali livelli occupazionali negli impianti di Gela, Milazzo e Priolo. Grazie alla botta, scopriamo che l'Italia è considerato il terzo paese produttore di idrocarburi in Europa, dopo Norvegia e Regno Unito, che la Lucania è diventata una specie di Texas, che in pieno Adriatico rischiamo di avere piattaforme italiane, con cui fare a gara con quelle Croate a chi estrae di più dallo stesso giacimento e che il Canale di Sicilia galleggia su un mare di altrettanto petrolio. Poi scopriamo che, tra gli altri, Romano Prodi a maggio scorso, sul quotidiano il Messaggero, perorava l'incentivazione delle trivellazioni, che tale incentivazione porterebbe l'Italia, entro il 2020, ai livelli di produzione del 1990, che l'investimento per i prossimi sei anni sarebbe di 15 miliardi di euro, per 25.000 posti di lavoro, per un risparmio di 5 miliardi sulla bolletta energetica e 2,5 miliardi di gettito fiscale. Una vera manna che il Governo nazionale non si è lasciato sfuggire. Infatti, scopriamo che il decreto sblocca Italia, all'art. 38, avoca al Governo nazionale i permessi per la prospezione, ricerca e coltivazione dei nuovi campi di petrolio e gas. Tutto bene, quindi. Non proprio. In questi anni, i giganti del petrolio hanno trovato un grosso ostacolo nei Governi regionali locali, i quali avevano il potere di rilasciare le concessioni ma nessun maggior agio sulle royalty. Situazione ancora più stringente per la nostra Regione, che ha riconosciuta la legislazione esclusiva su Industria e produzione Industriale. Ma il problema è stato bypassato allo stesso modo degli altri. Infatti, il rapporto si è invertito e in cambio dei permessi, alle Regioni sono stati garantiti maggiori diritti sulle royalty e sono venuti meno tutte le belle parole sul vero oro della nostra penisola, quello del turismo e della salvaguardia ambientale. Il caso della Basilicata è emblematico, tra il 2008 e il 2012 Eni e Shell hanno pagato alla regione quasi 500 milioni in royalties.





 E in Sicilia? Il 14 Novembre è saltata fuori la notizia della sottoscrizione dell'accordo e da allora si sono fatti sentire Greenpeace, Ficarra e Picone, il Sindaco di Pantelleria e il WWF, i quali hanno sollevato il loro allarme al Governatore Crocetta. A fronte di questo, il tema delle royalty è stato riveduto. Secondo il Governatore, da oggi fino al 2020, dalle attività estrattive la Regione incasserà tra i 350 e i 500 milioni€. Secondo Greenpeace, invece, le stime sono ben più basse. Nel 2012, dalla attuale attività estrattiva, la Regione e i Comuni, complessivamente, hanno incassato 29 milioni€. Da oggi al 2020 fanno appena 180 milioni€. Per arrivare ai numeri indicati da Crocetta, bisognerebbe potenziale le estrazioni di 10/17 volte quelle attuali. Intanto, il Canale di Sicilia continua ad essere fonte di contese. Ieri per il confine delle acque territoriali entro le quali erano, e sono, obbligate a gettare le reti le nostre marinerie. Per questo la richiesta in sede di politica comunitaria, era quella di estendere le zone di protezione ecologica. Nel 2013, due pescherecci di Licata e Scoglitti furono obbligati dai maltesi a fare rotta nel porto di Cospicua ma gli interessi in conflitto non sono più quelli legati alla pesca ma al petrolio. Infatti, con un ultimo Decreto di Aprile 2013, il Governo Monti decise di rivendicare quei fondali a scopo di estrazione petrolifera, ben oltre il limite delle acque territoriali e in una zona contesa tra Malta e la Libia. In sintesi, fino a ieri in Sicilia l'attenzione era rivolta al Turismo e alle fonti energetiche rinnovabili, con il corollario di inchieste e scandali sui parchi eolici e solare termico. Oggi, invece, l'attenzione si è spostata sulle trivelle. Sarà l'effetto del progresso e dello sviluppo.



Fonti: La Sicilia; La Stampa; Greenpeace; Repubblica Palermo.

lunedì 17 novembre 2014

Prove generali di malessere quotidiano ed esistenziale

Mi rendo conto, essere felici quando qualcuno piange è crudele ma, per la verità, questa volta più che essere felice mi viene da ridere. Si perché oggi associo due notizie paradosso che sembrano burle. Sul treno Aulla Pisa frequentato da pendolari, ci piove dentro. I passeggeri aprono gli ombrelli per non bagnarsi, pubblicano le foto su F/B e Trenitalia si scusa. "La carrozza era stata riconsegnata ad agosto dalla ditta che ha eseguito il lavoro di manutenzione e corredata dal relativo certificato di conformità. Il mezzo è adesso in officina, dove saranno effettuate verifiche più approfondite.


Se queste confermeranno la causa, Trenitalia muoverà le opportune contestazioni alla ditta che ha eseguito la manutenzione straordinaria". Poche ore prima, la già Ministra Livia Turco piange in diretta alla 7 durante una trasmissione televisiva. Sta male perché in tanti di sinistra non si iscrivono più al Pd, operai, lavoratori ecc. e dice: "Chiedo a Renzi di avere considerazione di queste persone, faccia uno sforzo inclusivo, la sinistra non è un ferro vecchio". È vero, abbiamo avuto vent'anni di Berlusconismo, peccato che ogni volta che si è presentata l'occasione di staccare la spina a quella politica, ed anche quando era staccata, quella classe dirigente-dirigista ha sempre provveduto a riattaccarla e nessuno saprà mai se nel farlo, nella loro testa c'erano i lavoratori. Perché tanto han fatto per loro, che hanno finito con l'estinguerli. Lacrime di coccodrillo? No. In realtà la Turco, con tutto il parterre di quella classe politica, non è mai stata capita. Infatti come si dice? Chi ci capisce (alla Turco e company) è bravo. E noi lo sappiamo, non siamo bravi

domenica 9 novembre 2014

L'incanto della luce. La cupezza del buio




Palermo è una città meravigliosa. Ne parlavo con un mio amico Lucano il quale, come molti, se n'è già innamorato. Tra le cose che ha osservato, nei giorni della sua permanenza, c'è stata la percezione della capacità dei palermitani, di far pensare che qualunque cosa stanno facendo sembra sia essere la più difficile, complicata e complessa sulla faccia della terra. E naturalmente gli riesce sempre benissimo e sono i più bravi nel farla. Che ne so, se guardi la commessa di un negozio qualunque, con tutto il rispetto per tutte le commesse, sembra che stia facendo chissà quale lavoro di importanza spaziale. Ed effettivamente lo è a pensarci bene. Sopratutto se quel lavoro, qualunque lavoro, non è improvvisato. Ma a volte a Palermo le cose vanno diversamente. Ho spiegato al mio amico che qualche anno fa circolava un post carino dal titolo: Sei di Palermo se, p.e. hai pensato almeno una volta di aprire un pane e panelle a Milano. I palermitani sono convinti di fare chissà quali affari con il minimo sforzo. Tuttavia, non ho ancora visto alcun panellaro aprire una panelleria a Milano. Il resto dei palermitani, invece, lo ha pensato anche se non hanno mai fatto una panella. Succede, quindi, che questo atteggiamento lo tengano anche coloro i quali, improvvisamente, si reinventano p.e. impresari di eventi artistici e musicali e che diventano, da un giorno all'altro, esperti nell'organizzazione di concerti jazz. Nonostante fior di professionisti, per anni, hanno educato Palermo al Jazz ecco che dal nulla dietro una quinta, anzi una quintina, si esibiscono fior di jazzisti del calibro di Franco Cerri, Enrico Rava ecc. Perché in questi casi, le cose si fanno in grande. Nessun vero palermitano comprerebbe mai una panella fatta a Milano, perché puzza di fregatura. A Palermo, invece, sa che le panelle può comperarle a pochi euro e fatte bene ed è perché sembra una cosa facile da fare che tutti pensano di poterle vendere a tonnellate anche a Milano. Ma il jazz? Siccome pare essere la nuova frontiera del business, ci si inventa espertissimi di musica jazz, a dispetto della sua intrinseca natura. Una musica manifesto di rivolta, di libertà, di rivendicazione di giustizia di un intero popolo che a Palermo, adesso, assume una connotazione profondamente diversa anzi, profondamente contraria senza che nessuno dica nulla, tutti asseverati ad una indolenza per la quale si critica tutto, per sopportare poi qualunque approssimativa pratica. Così, quando un locale è di tendenza solo perché ad animarlo c'è un signore che arriva direttamente dalle aule parlamentari (e non è una nota di credito), anche se è uno scantinato ristrutturato per l'occorrenza e si sta stretti, ecco che come per magia tutti zitti in fila per due, a far finta che la panella sia fatta d'oro ed è semplice farina di ceci. Perché i palermitani sono così, snob inside che fanno finta di non sapere che a Milano una panelleria fallirebbe in men che non si dica, a meno che non sia qualcuno che le panelle le sappia fare davvero.

martedì 4 novembre 2014

Produzione e redistribuzione di denaro in tempi di crisi



Anche oggi sono felice perché sono riuscito a trovare un nesso tra due notizie che ho sentito e letto. La prima la ascolto alla radio. Secondo un autorevole studio, nel nostro paese il problema non è la produzione di denaro ma la sua redistribuzione. Le seconda la leggo su live Sicilia e riguarda il caso dei tre burocrati dell'assemblea regionale siciliana che hanno scritto al Presidente Ardizzone invitandolo a “revocare spontaneamente", l'illegittimo provvedimento” che fissa a 240.000€ il tetto per lo stipendio dei super burocrati dell'Ars

 - http://m.livesicilia.it/2014/11/04/il-tetto-da-240-mila-euro-non-ce-fretta-chi-sono-i-paperoni-di-palazzo-dei-normanni_560327/ -

L'unica opzione politica possibile, in queste condizioni, è quella dell'ortodossismo marxista. La domanda se è ancora concepibile il riconoscimento di un simile diritto acquisito negli anni, e
garantito dalla pensione, mi pare più che legittima. Siamo di fronte ad un superburocrate improduttivo direttore del servizio della biblioteca e dell'archivio storico dell'ars, che ancora oggi guadagna per questo stratosferico e difficile lavoro 338.763,30 euro lordi, e ad un ingegnere trentenne che si occupa di un progetto per realizzare una stampante 3D (l'ho incontrato qualche settimana fa in una pizzeria vicino villa Niscemi a Palermo), che per sopravvivere è costretto a fare il cameriere.