La strage Borsellino 17 anni dopo rende ancora più evidente la differenza tra un paese normale e uno normalizzato. In un paese normale non si potrebbe accettare il sospetto, nemmeno l’idea, che un pezzo di Stato si sia armato contro un altro pezzo di Stato, così come sembra essere successo, ancora una volta, con la strage Borsellino. L’analisi della situazione geopolitica degli anni 70’, all’epoca della strategia della tensione, forse poteva rendere comprensibile questo perverso rapporto tra organi dello Stato, ma nel 1992 non c’era più da un pezzo il muro di Berlino a dividere due sistemi incompatibili l’uno con l’altro. Perché allora lo Stato sembra si sia ancora armato per sterminare con le auto-bombe suoi rappresentanti? Quella rabbia, sentita molto forte quella domenica di luglio di 17 anni fa è ancora presente nella società civile. È una rabbia repressa, da paese normalizzato. In un paese normale quella rabbia sarebbe stata interpretata dalla politica e gli avrebbe restituito uno scopo, quello di un paese migliore, più civile. Così come successe molti anni fa, con la rabbia delle classi più deboli della società che ambivano alla rivoluzione. I partiti di massa se ne fecero interpreti e il risultato è una società un po’ più giusta di quella di 150 anni fa. In un paese normale un magistrato non sfilerebbe ai cortei, sempre più esigui, per la commemorazione di un collega ucciso insieme alla sua scorta. Se lo fa è perché lui riempie il vuoto lasciato da chi dovrebbe, con le leggi, con le scelte e le lotte politiche, liberare lo Stato dalla morsa economico-criminale della mafia. Se lo fa è perché rivendica più organici per fare bene il suo lavoro. Quello che ci si chiede è chi ha normalizzato, per l’ennesima volta dopo il 1992, lo stato italiano quando in quel momento tutte le coscienze della nazione si erano sollevate per dire finalmente basta al malaffare e alla connivenza tra la politica e la mafia. Una cosa che denunciano i magistrati, ieri con Falcone e Borsellino, e oggi con i loro colleghi impegnati sul fronte delle indagini contro lo stesso sistema, le stesse connivenze. In un paese normale non potrebbe accadere che nella commemorazione di una strage ci siano le volanti della polizia e dei carabinieri sotto il palco dal quale parla un loro ex collega contro lo Stato, dopo essere stato incriminato e messo alla gogna e scagionato da ogni accusa, perché aveva, con le sue competenze tecniche, collaborato a centinaia di inchieste e fornito migliaia di dati con le intercettazioni telefoniche, compreso quelle relative ad un telefono sul quale, durante i giorni di luglio di 17 anni fa, transitavano conversazioni da e per altre utenze mafiose e non. Sarà stata questa la sua colpa? In un paese normale una cosa del genere non potrebbe succedere. Certo, fin qui queste scritte sono solo considerazioni a latere, però, di un fatto, la riapertura delle indagini, nonostante condanne per esecutori e mandanti vagliate finanche dalla Cassazione, sulle stragi del 1992/93. Segno che questa storia deve ancora essere scritta tutta. Non posso biasimare i tanti che, nonostante la rabbia provata ed espressa 17 anni fa, oggi non c’erano alla commemorazione della strage Borsellino. La loro rabbia è stata tradita da troppi per essere ancora li. In un modo o in un altro sono ancora presenti e, sia pure a fatica, possono ancora dare corpo alla loro sete di giustizia e di verità.
domenica 19 luglio 2009
Strage Borsellino 17 anni dopo la stessa domenica di Luglio
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