martedì 5 maggio 2009

La legge elettorale è meglio che resti invariata

Il Si al referendum rischia di aggravare le storture del sistema partitico italiano

Puntuale arriva un altro referendum che, dopo lo scontro politico delle ultime settimane, è stato deciso si voterà il 21 giugno. I tre quesiti referendari aggrediscono la legge elettorale nazionale. I primi due quesiti vogliono abrogare il premio di maggioranza alla Camera e al Senato, il terzo, ed è quello che bisogna approvare, elimina la possibilità di candidarsi in più circoscrizioni e con la vittoria del Si non vedremo più Berlusconi o Veltroni, così come Di Pietro, Franceschini o Casini, candidati nelle circoscrizioni di tutta Italia. Con l’attuale legge elettorale, i seggi si ripartiscono proporzionalmente tra i partiti che hanno formato coalizioni. Quella che vince si attribuisce il premio di maggioranza. Se passasse il si al referendum, l’effetto sarebbe quello di attribuire il premio di maggioranza al partito che prende più voti. In sintesi, significa introdurre il bipartitismo in Italia, da una parte il Pdl dall’altra il Pd. Fino all’approvazione della legge che sarà sottoposta a referendum, in Italia c’erano 16 partiti, dopo le ultime elezioni si sono ridotti a 5, più alcune formazioni minori. Quelli più importanti Pdl – Pd – Lega – Udc – Idv – rappresentano quel che resta del vecchio arco costituzionale del sistema partitico italiano. Si può dire quel che si vuole di questa legge, che ha eliminato il collegio uninominale, che ha eliminato le preferenze, che ha cancellato il rapporto tra eletti ed elettori, ma una cosa l’ha fatta ha semplificato il sistema partitico, un obiettivo che s’è cercato di raggiungere per decenni. Rinunciare adesso a questo risultato, aspirando a ridurre il sistema a due partiti, il Pdl e il Pd, significa aggravare ancora di più le patologie che questa legge porta con se ed eliminare quanto di buono ha dato. Due soli partiti, liberi più di quanto non lo siano adesso di nominare i loro parlamentari, darebbero luogo all’autoriproduzione di un’oligarchia partitica sempre più lontana dai problemi reali del paese. Se il Pdl non avesse più la seccatura di accontentare le richieste della Lega sarebbero difficili le innovazioni del sistema come quella del federalismo fiscale. Se il Pd non dovesse fare i conti con Di Pietro, con tutti i difetti e i limiti che porta con se il suo modo di far politica, perderebbe l’unico freno alla deriva che spinge i suoi leaders a fare scelte che perpetuano solo le loro rendite di posizione e nient’altro. Se non ci fosse più l’Udc che è diventato, suo malgrado, il partito centrista che si fa portatore di istanze passibili di essere accolte sia dai riformisti sia dai conservatori, sarebbe eliminata una delle variabili più efficaci in grado di produrre l’alternanza al governo.
La Lega ha svolto, negli ultimi 15 anni, l’insostituibile funzione politica di scaricare le tensioni sociali del nord. Il Pdl pensa di cancellarla dal panorama politico con un referendum. Il Pd pensa di correggere, con la vittoria del si, l’errore politico grossolano di aver regalato a Di Pietro, con l’alleanza di coalizione fatta solo con l’Idv, la rappresentanza di tutta la sinistra e di coloro che sono rimasti fuori dal parlamento. Il calcolo politico di corto respiro non è mai foriero di buone prospettive. Se con il risultato del referendum si potesse ridiscutere dell’innovazione profonda della legge elettorale, dell’introduzione del doppio turno di collegio come in Francia o di introdurre il sistema di sbarramento tedesco e il vincolo della sfiducia costruttiva, due cose delle quali si discute da anni ma alle quali non si è mai arrivati, allora la vittoria dei Si dei primi due quesiti avrebbe un senso. Purtroppo, il referendum lascia insoluti tutti problemi e le insufficienze del sistema partitico ed elettorale italiano e la vittoria del Si ai primi due quesiti, sempre che si raggiunga il quorum necessario a dargli validità, rischia di regalare l’assoluta predominanza a due soli partiti che, in diverse occasioni, hanno dimostrato la totale insufficienza ad affrontare, con risolutezza e responsabilità, i nodi al pettine di un paese complesso come il nostro.

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