Ci sono almeno due strade da percorre per tentare di fermare la corsa al petrolio in Sicilia e non solo. La prima è il ricorso alla Corte Costituzionale contro l'articolo 38 del Ddl Sblocca Italia, con il quale il Governo nazionale sembra violare le prerogative costituzionali riconosciute dall'art. 117 della Costituzione. La seconda è quella del referendum popolare. Formalmente ancora nessuna regione italiana ha inoltrato il ricorso alla Corte ma basta che una lo faccia e la Corte l'accolga, e vale per tutte. Le Regioni interessate, compresa la Sicilia, hanno deliberato atti formali con i quali impegnano i rispettivi Governi ad inoltrarlo. Il Governatore della Lombardia, Roberto Maroni, ha già manifestato con una lettera ai responsabili di Greenpeace la volontà di ricorrere. Per intraprendere quella del referendum abrogativo, invece, occorre che la richiesta sia sottoscritta da almeno cinque regioni. In Commissione Ambiente all'Ars è già stata approvata una mozione per il Referendum ma per proseguire occorre il voto dell'aula.
Attualmente, dunque, il Ministero, sentita la Regione interessata, può rilasciare le autorizzazioni per permettere alle società petrolifere che ne hanno fatto richiesta, di iniziare l'attività di ricerca finalizzata all'estrazione di greggio. Nel Canale di Sicilia sono attualmente attive 4 piattaforme petrolifere, la Prezioso, la Perla, la Vega e la Gela.
Altre 16 richieste sono state inoltrate per essere autorizzate. Per avere chiara la situazione, una sola di queste prevede otto pozzi. In breve il Canale di Sicilia potrebbe essere costellato da piattaforme petrolifere. Altri aspetti sono ancora ambigui. Il Ministero, sentita la Regione interessata, autorizza le attività di ricerca ed estrattive. E se la Regione dice no? A quanto sembra, gli impianti potrebbero essere considerati di rilevanza strategica.
A quel punto, non è certo il parere di una Regione o la Valutazione di Impatto Ambientale che ferma la realizzazione di un impianto di estrazione di greggio. Quindi, supposto che il Governo non tornerà indietro, la strada da percorre è quella dell'abrogazione dell'art. 38 del Ddl Sblocca Italia. Infine, perché sono considerati pericolosi i pozzi nel Canale di Sicilia? In fin dei conti quattro ci sono già. L'attività estrattiva del pozzo in mare è analoga a quella di un pozzo a terra. In Basilicata riscontrano seri problemi con lo smaltimento dei fanghi e le acque utilizzate per l'estrazione, che vengono trattate e poi riversate in mare. Ma alcune falde acquifere sono risultate inquinate e i livelli di radiazione e di concentrazione di sostanze tossiche nelle acque smaltite, sono risultate più alte della norma. Insomma, estrarre petrolio inquina. E la stessa cosa accade con i pozzi off-shore nel Canale di Sicilia, senza considerare che la loro gestione è molto più complessa di quella dei pozzi a terra.
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