sabato 26 dicembre 2009
venerdì 25 dicembre 2009
domenica 20 dicembre 2009
Acqua che scotta
In effetti, le fatture esose sono state recapitate alle utenze inabitate o della fascia esterna dei paesi, cioè in abitazioni prevalentemente estive. I sindaci, presi di mira dalle proteste degli utenti, hanno chiesto l’immediata apertura degli sportelli, anche questi ancora inattivi nella maggior parte dei comuni e comunque previsti solo per il ricevimento di poche ore per sole due volte al mese. Le voci delle fatture sono rimaste invariate. Oltre alla tariffa
base per il consumo, alle altre tre superiori e alle unità abitative totali, ci sono le voci sulla fognatura, depurazione e quote di servizio. Ma perché allora arrivano fatture così elevate?
Al centinaio di utenti che si sono recati ieri a Cinisi per reclamare allo sportello dell’APS immediatamente attivato, ad alcuni è stato detto che le fatture sono il frutto di un conguaglio, ad altri di un importo per voltura sbagliato, ad altri ancora che il contatore potrebbe avere problemi tecnici invitandoli a fornire l’effettiva lettura. Il Comitato Liberacque, invece, sostiene che le fatture esose potrebbero essere il frutto dell’applicazione retroattiva della nuova articolazione tariffaria stabilita nella conferenza dei servizi del novembre 2008 e annuncia la presentazione di un ricorso al TAR, nel quel si chiederà l’annullamento del provvedimento amministrativo con il quale è stata applicata la retroattività, illegittimità già sentenziata dal CO.VI.R.I, dal Consiglio di Stato, dal TAR del Veneto, della Sardegna e del Lazio e richiamata in una nota all’Autorità dell’ATO 1 Palermo ed al gestore APS SpA, anche dal Difensore Civico di Bagheria.
Inoltre, sembra che in alcuni casi, come a S.Giuseppe Jato, Mezzojuso o Terrasini, nelle fatture sia stata ancora applicata la tariffa sulla depurazione anche per i paesi, come in questo caso, sprovvisti di impianto nonostante la sentenza della Corte Costituzionale dell’ottobre 2008 abbia stabilito il contrario. Altro capitolo della polemica riguarda gli investimenti. Per Cinisi, ad esempio, sono stati previsti 11 MLN per la rete idrica e fognaria e, in genere, l’Ato ha approvato 25 progetti per 37 MLN su quasi tutti comuni dell’Ato, solo che non è possibile prevedere quando cominceranno i lavori perché prima di aprire i cantieri, i progetti devono essere vagliati dall’Agenzia Regionale Rifiuti e Acque delll’assessorato regionale territorio ambiente. Altri casi emblematici riguardano quelle realtà nelle quali sussistono acquedotti privati, come nel caso della S.O.R.I. di Carini. La S.O.R.I è proprietaria di più della metà dell’acquedotto di Carini e delle riserve idriche e senza queste ultime, l’Aps rischia di non poter garantire al 100% la fornitura. Tuttavia, qual è l’esatto rapporto tra l’APS e La SORI non è completamente chiaro, tanto che sembra siano al vaglio azioni legali. Infine, in diversi comuni, le nuove tariffe stabilite dalla conferenza dei servizi avrebbero dovuto essere sottoposte al vaglio delle assemblee consiliari e non lo sono state, mentre la Provincia, con la sua Segreteria Tecnica Operativa preposta a vigilare sul corretto operare del gestore, non si è ancora pronunciata rispetto ai presunti disservizi e alle fatture esose emesse.
pubblicato sul blog Partinico.info
domenica 13 dicembre 2009
mercoledì 25 novembre 2009
Parlano gli autori di “E’ vietato digiunare in spiaggia” Renato Sarti e Franco Però Danilo Dolci e il suo sciopero alla rovescia segnarono un’epoca
“Per fortuna – dice il regista della rappresentazione teatrale Franco Però - tutti, sia gli interpreti sia il pubblico, hanno capito che l’affidare il ruolo di Calamandrei a persone come Gianni Barbacetto, Gian Carlo Caselli, Nedo Fiano, Vincenzo Consolo e diversi altri, non serve per fare pubblicità al nostro lavoro ma è un’idea che è nata da una chiacchierata con Gherardo Colombo, il quale ci ha detto che, da pensionato, vuole mettere su un progetto per insegnare la Costituzione ai ragazzi”.
Dell’opera educativa molto vasta di Danilo Dolci resta il patrimonio di testimonianza che bisogna cercare di salvaguardare e divulgare. “Viviamo in un’epoca nella quale – continua Renato Sarti – il livello di amenità, quando non di falsità generate dalla tendenza al revisionismo storico, è talmente elevato che i nostri ragazzi, quelli del nord, del centro e del sud, hanno perso la memoria del nostro paese. In un recente sondaggio svolto nelle scuole di Milano è venuto fuori che il 60% degli studenti è convinto che la strage di Piazza Fontana sia stata opera nefasta delle Brigate Rosse e, inoltre, non sapevano nemmeno in che decennio collocarla”. Danilo Dolci è una figura molto particolare del nostro tempo. “Era in contatto con le maggiori personalità internazionali del suo tempo – dice ancora Franco Però – candidato più volte al Nobel per la pace, vincitore del Premio Lenin, eppure è quasi stato cancellato dalla memoria collettiva”. Pare che in Italia si possa anche questo ed è proprio dell’arte, spesso, ridare voce e conoscenza a chi lo merita com’è per Danilo Dolci.
Le mie scelte personali e il giornale di Cinisi
Ho aspettato il momento opportuno per dare una notizia che mi riguarda personalmente e penso che adesso sia arrivato. La notizia è che non guiderò più il Giornale di Cinisi perché ho accettato di occuparmi della comunicazione del Comune di Cinisi. E' una cosa già avvenuta all'interno del giornale con il mio predecessore, Faro D'Anna, attualmente addetto stampa del comune di Terrasini. Oggi come allora, il direttore responsabile, davanti alla prospettiva di svolgere un ruolo diverso, si è confrontato con la redazione e lasciato liberi tutti di decidere per il meglio del futuro del giornale. Il Giornale di Cinisi è stato sempre in grado di confrontarsi con quel che succede sul territorio ed è per questo motivo che è di tutti e di nessuno. Identificabile con una posizione di confronto con le amministrazioni di Cinisi e di Terrasini, a volte aspro a volte meno. Chi scrive nel Giornale di Cinisi non dimentica mai che prima di ogni cosa si è chiamati a fare informazione ed esprimere opinioni su queste che, naturalmente, possono essere diverse. Sotto la direzione di Faro, così come con la mia, diverse volte è capitato di essere in disaccordo con alcuni redattori ai quali abbiamo corretto quel che hanno scritto, forse male forse bene, ma mai censurato. Inoltre, i fatti non sono sempre uguali né fine a se stessi. Le situazioni cambiano, si evolvono, e chi si è dato al mestiere di scrivere, se lo vuol fare seriamente così come seriamente lo vogliono fare coloro che stanno dentro il giornale che resta sempre aperto a chiunque si voglia misurare con questo affascinante lavoro, lo sa. Io non ho nascosto nei miei articoli la necessarietà di un'analisi sull'amministrazione di Cinisi che, a mio avviso e questa è un'opinione e come tale certamente contestabile ma opponendo fatti, è, per molti aspetti, positiva.
La penna del direttore di allora, Faro D'Anna, all'indomani delle elezioni di Terrasini, espresse una preoccupazione che si rivelò profetica. In un suo editoriale si augurava che la nuova amministrazione Consiglio non commettesse l'errore di chiudersi dentro le stanze del potere e auspicava il coinvolgimento di energie fresche in grado di far decollare il paese. Ebbene, dopo due anni e mezzo, difficilmente si può affermare che quella di Terrasini sia una buona amministrazione che affronta e risolve i problemi del paese e nonostante alcuni assessori che si sono avvicendati nelle ormai troppe giunte siano stati volti nuovi della politica, non sono riusciti a lasciare alcunché, tanto che si può facilmente profetizzare che alle prossime elezioni, la retorica elettorale sarà tale e quale a quella di due anni e mezzo fa. Eppure Faro D'Anna svolge le sue mansioni all'interno di quella amministrazione. La stessa cosa vale per quel che mi riguarda perché, a qualcuno sfugge, forse perché non si applica abbastanza e risolve tutto con facili stereotipi, noi facciamo questo mestiere, ci occupiamo di informazione, siamo giornalisti iscritti all'ordine e, tra le altre cose, ci occupiamo anche di informazione istituzionale. Le nostre scelte, che restano nell'ambito della valutazione personale, non tolgono nulla al Giornale di Cinisi e alla sua funzione di organo d'informazione. Perché una cosa è l'informazione, un'altra l'opinione, che pure resta vincolata al mestiere di giornalista che non è un automa, un robot che registra quel che avviene e basta, e non è sua l'obiettività o lo stare al di sopra delle parti, tutt'altro. Anzi, è necessario averla e difenderla se si crede di essere nel giusto. Il problema sta nel riconoscere, se ce ne sono, errori di valutazione e rispettare quella degli altri ed è questo, è la mia opinione, il difetto di molti, sia a destra sia a sinistra. Un difetto che deriva dalla crisi della politica che, inesorabilmente, determina il deterioramento del confronto sulle cose secondo i canoni della massima filosofica hegeliana, data la tesi, c'è l'antitesi cui segue la sintesi alla quale, è questa la differenza, inevitabilmente si arriva in diversi modi o con gli strumenti del confronto democratico o con l'imposizione, ma ci si arriva e per ovvi motivi. Io ho una mia idea sull'amministrazione di Cinisi e sul suo sindaco e posso esprimerla perché non è nuova e perché l'ho già scritta. Io credo che, al di là del merito e delle capacità più o meno riconosciute del sindaco Salvatore Palazzolo, egli ha un'idea di paese, di città, e su quella si muove e compie le sue scelte. Palazzolo vuole far compiere a Cinisi una svolta culturale. Vuole che il paese che amministra diventi sempre di più moderno e che leghi il suo destino allo sviluppo correlato alla legalità. Per riuscirci deve fare politica, non solo a Cinisi ma fuori da suoi confini. Forse non ci riesce fin come ci si aspetterebbe o si vorrebbe. Su questo deve essere aperto il confronto con chi pensa il contrario, sapendo distinguere quando ci riesce a quando no. Naturalmente in questa sede non posso esprimere e non posso sviscerare tutti gli argomenti opponibili al confronto, per ragioni di spazio. Per quel che mi riguarda spero che la mia nomina, comunque temporanea, sia il frutto del riconoscimento delle mie capacità e non un "premio" per le mie idee. Del resto, ben più autorevoli esempi potrei citare per confermare che a mio avviso vale la prima ipotesi. Enrico Mentana, che ho già citato su queste pagine, molti anni fa lasciò il Tg1 per passare alla concorrenza e fondare un suo giornale completamente nuovo. Dopo aver svolto egregiamente il suo lavoro, lo stesso potente editore che lo volle allora gli ha posto di fronte un ordine che se avesse eseguito lo avrebbe svilito come uomo e come professionista, e ha lasciato la direzione di Matrix. Il tribunale amministrativo al quale Mentana si è rivolto, ha sancito che aveva ragione. Con la sua scelta ha salvaguardato la sua libertà e la sua dignità e, immagino, il suo no non dev'essere stato semplice. Non esiste, né potrà mai esistere, una norma che possa obbligare all'etica professionale, politica o di cittadinanza. O si ha o non si ha e il riconoscimento dell'una o dell'altra condizione è degli altri. Anche nel mio caso, il giudizio definitivo lo lascio alla stragrande maggioranza dei miei lettori e di chi mi conosce.
Novembre 2009
mercoledì 30 settembre 2009
La mafia non si ferma davanti una biblioteca né con il nome di Peppino né con quello di Don Baggi
domenica 27 settembre 2009
domenica 19 luglio 2009
Strage Borsellino 17 anni dopo la stessa domenica di Luglio
La strage Borsellino 17 anni dopo rende ancora più evidente la differenza tra un paese normale e uno normalizzato. In un paese normale non si potrebbe accettare il sospetto, nemmeno l’idea, che un pezzo di Stato si sia armato contro un altro pezzo di Stato, così come sembra essere successo, ancora una volta, con la strage Borsellino. L’analisi della situazione geopolitica degli anni 70’, all’epoca della strategia della tensione, forse poteva rendere comprensibile questo perverso rapporto tra organi dello Stato, ma nel 1992 non c’era più da un pezzo il muro di Berlino a dividere due sistemi incompatibili l’uno con l’altro. Perché allora lo Stato sembra si sia ancora armato per sterminare con le auto-bombe suoi rappresentanti? Quella rabbia, sentita molto forte quella domenica di luglio di 17 anni fa è ancora presente nella società civile. È una rabbia repressa, da paese normalizzato. In un paese normale quella rabbia sarebbe stata interpretata dalla politica e gli avrebbe restituito uno scopo, quello di un paese migliore, più civile. Così come successe molti anni fa, con la rabbia delle classi più deboli della società che ambivano alla rivoluzione. I partiti di massa se ne fecero interpreti e il risultato è una società un po’ più giusta di quella di 150 anni fa. In un paese normale un magistrato non sfilerebbe ai cortei, sempre più esigui, per la commemorazione di un collega ucciso insieme alla sua scorta. Se lo fa è perché lui riempie il vuoto lasciato da chi dovrebbe, con le leggi, con le scelte e le lotte politiche, liberare lo Stato dalla morsa economico-criminale della mafia. Se lo fa è perché rivendica più organici per fare bene il suo lavoro. Quello che ci si chiede è chi ha normalizzato, per l’ennesima volta dopo il 1992, lo stato italiano quando in quel momento tutte le coscienze della nazione si erano sollevate per dire finalmente basta al malaffare e alla connivenza tra la politica e la mafia. Una cosa che denunciano i magistrati, ieri con Falcone e Borsellino, e oggi con i loro colleghi impegnati sul fronte delle indagini contro lo stesso sistema, le stesse connivenze. In un paese normale non potrebbe accadere che nella commemorazione di una strage ci siano le volanti della polizia e dei carabinieri sotto il palco dal quale parla un loro ex collega contro lo Stato, dopo essere stato incriminato e messo alla gogna e scagionato da ogni accusa, perché aveva, con le sue competenze tecniche, collaborato a centinaia di inchieste e fornito migliaia di dati con le intercettazioni telefoniche, compreso quelle relative ad un telefono sul quale, durante i giorni di luglio di 17 anni fa, transitavano conversazioni da e per altre utenze mafiose e non. Sarà stata questa la sua colpa? In un paese normale una cosa del genere non potrebbe succedere. Certo, fin qui queste scritte sono solo considerazioni a latere, però, di un fatto, la riapertura delle indagini, nonostante condanne per esecutori e mandanti vagliate finanche dalla Cassazione, sulle stragi del 1992/93. Segno che questa storia deve ancora essere scritta tutta. Non posso biasimare i tanti che, nonostante la rabbia provata ed espressa 17 anni fa, oggi non c’erano alla commemorazione della strage Borsellino. La loro rabbia è stata tradita da troppi per essere ancora li. In un modo o in un altro sono ancora presenti e, sia pure a fatica, possono ancora dare corpo alla loro sete di giustizia e di verità.
lunedì 1 giugno 2009
Video e fotografia per indagare su mafia, pizzo e legalità.
Video e fotografia per indagare su mafia, pizzo e legalità.
Con la macchina fotografica e la cinepresa a caccia di persone e luoghi.
Per i ragazzi di Photfficine - http://www.photofficine.it/ - un laboratorio sociale animato da un gruppo di adolescenti di Ballarò, il popolare quartiere nel centro di Palermo, il video e la fotografia sono gli strumenti utilizzati per scoprire la realtà che li circonda. Per loro, giovani tra dodici e diciassette anni, alcuni di origini indiane che frequentano il liceo classico Garibaldi o l’istituto tecnico Filippo Parlatore, oppure il liceo Scientifico B.Croce, si tratta di una nuova esperienza percettiva. Imparano a confrontarsi con le tematiche del territorio e ad usare la fotografia e la cinepresa per raccontare persone e luoghi.
Oltre a costruire esperienze collettive indagando con la fotografia e il video sul terremoto del Belice, sulla legalità riprendendo i momenti della festa di “AddioPizzo”alla Magione e sulla mafia, come hanno fatto nei giorni scorsi a Cinisi con interviste ai protagonisti della storia di Peppino Impastato, stanno seguendo anche progetti individuali cercando di capire quali sono le problematiche dei migranti di II generazione, oppure conoscere il lavoro che svolgono le associazioni del centro storico o ancora cercare di capire come risolvere il problema dei rifiuti.
Dipu, Rifat e Manish sono tre dei ragazzi coinvolti nel progetto.
D - Quali sono le tematiche che avete affrontato finora?
R - Siamo stati a Gibellina e a Santa Margherita Belice. Abbiamo indagato sul terremoto con interviste, video e fotografie.
D - Voi che avete origini indiane vivete fenomeni di razzismo a Ballarò?
R - Assolutamente no. Siamo ormai tanti e non veniamo percepiti come diversi. Per di più noi ci sentiamo palermitani. Forse qualche anno fa, ci potevano ancora essere episodi di discriminazione ma adesso sono sempre più rari.
D – Chi vi ha colpito di più, finora, delle persone che avete conosciuto?
R – Riccardo Scibetta. È un fotografo professionista. Gli effetti delle sue foto a panorami o persone, realizzate con tecniche assolutamente innovative, come quella delle foto sovrapposte, sono molto belle.
Giancarlo Lupo e Pietro Alfano, insieme ad Angela Onorato e Pietro Maita, sono i ricercatori universitari che hanno ideato il progetto Photofficine.
D – Com’è nato il progetto Photofficine?
R – Da un’osservazione semplice. Abbiamo rilevato che nel centro storico di Palermo, a Ballarò, mancava un centro di aggregazione che potesse sensibilizzare i giovani alle tematiche del territorio. Così, nel 2007, abbiamo presentato un progetto al Ministero della Gioventù per il bando “Giovani idee che cambiano l’Italia”, che prevedeva la creazione di 4 laboratori, audiovideo – fotografia – photolangage – e uno di percezione, tutti rivolti a giovani adolescenti per sensibilizzarli alle tematiche del territorio attraverso strumenti multimediali. I laboratori hanno finalità percettivi, servono per indagare le modalità di percezione della realtà da parte dei ragazzi.
D – Quanto dureranno i laboratori?
R – Abbiamo cominciato nel gennaio del 2009 e si concluderemo entro ottobre. Il lavoro prodotto sarà poi oggetto di una mostra. Nel frattempo stiamo mettendo in rete, attraverso un sito e un blog, quello che man mano viene fuori dai montaggi delle riprese e dalle foto.
D – Quanti sono i ragazzi coinvolti?
R – Abbiamo cominciato con circa venti ragazzi, anche se l’assiduità non è una loro qualità. Quelli che non mancano nessun appuntamento sono una decina.
D- Confermi il fatto che i ragazzi, provenienti da diverse etnie, sono integrati con i loro coetani palermitani?
R – Si, l’integrazione tra culture è una realtà consolidata a Ballarò, un quartiere dove vivono ormai da molti anni persone di diversa etnia.
Giovanni e Giuseppe sono gli altri due ragazzi palermitani venuti a Cinisi, insieme ai loro amici di origine indiana, per indagare sulla mafia.
D – Cos’è secondo te la legalità?
R – Una regola necessaria alla convivenza.
D – Da quanto vivi a Ballarò?
R - Da cinque anni. Mi trovo abbastanza bene.
D – Chi ti ha colpito di più delle persone che hai conosciuto finora?
R – I ragazzi di LiberoFuturo. Credono in una Sicilia libera dalla mafia.
D – Quali sono i vostri laboratori individuali?
R – Sto indagando sul lavoro nero e sui prodotti contraffatti.
D – Ballarò è un quartiere dove si può trovare lavoro?
R – Penso di no. Ma è un problema diffuso siciliano non solo di Ballarò. È un problema che dipende da tutti, dal governo nazionale e dai siciliani.
Per ultimo ho chiesto a questi ragazzi cosa volevano fare da grandi. Tutti sono molto appassionati dalla fotografia e dal Video. Studiano al liceo, qualcuno di loro vorrebbe poter cambiare le cose, intraprendere la carriera militare, un altro vorrebbe fare l’archeologo ma sa che è difficile, la sua famiglia è molto numerosa, sa che non potrà mantenerlo agli studi. È un po’ disilluso, a diciassette anni, ma spera che qualcuno possa aiutarlo.
martedì 5 maggio 2009
La legge elettorale è meglio che resti invariata
Puntuale arriva un altro referendum che, dopo lo scontro politico delle ultime settimane, è stato deciso si voterà il 21 giugno. I tre quesiti referendari aggrediscono la legge elettorale nazionale. I primi due quesiti vogliono abrogare il premio di maggioranza alla Camera e al Senato, il terzo, ed è quello che bisogna approvare, elimina la possibilità di candidarsi in più circoscrizioni e con la vittoria del Si non vedremo più Berlusconi o Veltroni, così come Di Pietro, Franceschini o Casini, candidati nelle circoscrizioni di tutta Italia. Con l’attuale legge elettorale, i seggi si ripartiscono proporzionalmente tra i partiti che hanno formato coalizioni. Quella che vince si attribuisce il premio di maggioranza. Se passasse il si al referendum, l’effetto sarebbe quello di attribuire il premio di maggioranza al partito che prende più voti. In sintesi, significa introdurre il bipartitismo in Italia, da una parte il Pdl dall’altra il Pd. Fino all’approvazione della legge che sarà sottoposta a referendum, in Italia c’erano 16 partiti, dopo le ultime elezioni si sono ridotti a 5, più alcune formazioni minori. Quelli più importanti Pdl – Pd – Lega – Udc – Idv – rappresentano quel che resta del vecchio arco costituzionale del sistema partitico italiano. Si può dire quel che si vuole di questa legge, che ha eliminato il collegio uninominale, che ha eliminato le preferenze, che ha cancellato il rapporto tra eletti ed elettori, ma una cosa l’ha fatta ha semplificato il sistema partitico, un obiettivo che s’è cercato di raggiungere per decenni. Rinunciare adesso a questo risultato, aspirando a ridurre il sistema a due partiti, il Pdl e il Pd, significa aggravare ancora di più le patologie che questa legge porta con se ed eliminare quanto di buono ha dato. Due soli partiti, liberi più di quanto non lo siano adesso di nominare i loro parlamentari, darebbero luogo all’autoriproduzione di un’oligarchia partitica sempre più lontana dai problemi reali del paese. Se il Pdl non avesse più la seccatura di accontentare le richieste della Lega sarebbero difficili le innovazioni del sistema come quella del federalismo fiscale. Se il Pd non dovesse fare i conti con Di Pietro, con tutti i difetti e i limiti che porta con se il suo modo di far politica, perderebbe l’unico freno alla deriva che spinge i suoi leaders a fare scelte che perpetuano solo le loro rendite di posizione e nient’altro. Se non ci fosse più l’Udc che è diventato, suo malgrado, il partito centrista che si fa portatore di istanze passibili di essere accolte sia dai riformisti sia dai conservatori, sarebbe eliminata una delle variabili più efficaci in grado di produrre l’alternanza al governo.
La Lega ha svolto, negli ultimi 15 anni, l’insostituibile funzione politica di scaricare le tensioni sociali del nord. Il Pdl pensa di cancellarla dal panorama politico con un referendum. Il Pd pensa di correggere, con la vittoria del si, l’errore politico grossolano di aver regalato a Di Pietro, con l’alleanza di coalizione fatta solo con l’Idv, la rappresentanza di tutta la sinistra e di coloro che sono rimasti fuori dal parlamento. Il calcolo politico di corto respiro non è mai foriero di buone prospettive. Se con il risultato del referendum si potesse ridiscutere dell’innovazione profonda della legge elettorale, dell’introduzione del doppio turno di collegio come in Francia o di introdurre il sistema di sbarramento tedesco e il vincolo della sfiducia costruttiva, due cose delle quali si discute da anni ma alle quali non si è mai arrivati, allora la vittoria dei Si dei primi due quesiti avrebbe un senso. Purtroppo, il referendum lascia insoluti tutti problemi e le insufficienze del sistema partitico ed elettorale italiano e la vittoria del Si ai primi due quesiti, sempre che si raggiunga il quorum necessario a dargli validità, rischia di regalare l’assoluta predominanza a due soli partiti che, in diverse occasioni, hanno dimostrato la totale insufficienza ad affrontare, con risolutezza e responsabilità, i nodi al pettine di un paese complesso come il nostro.
domenica 3 maggio 2009
La capacità solidale degli italiani farcita dalla consueta indole al raggiro
venerdì 27 marzo 2009
Il caso Mentana e il mestiere di giornalista
Il caso Mentana e il mestiere di giornalista
venerdì 20 marzo 2009
Intervista al sen. Giulio Andreotti
martedì 17 marzo 2009
An e F.I si fonderanno nel Pdl. L’innovazione del bagaglio ideologico del partito di Fini
lunedì 16 marzo 2009
A Terrasini si è celebrato la ricorrenza dell’appello Ai liberi e forti lanciato 90 anni fa dal prete di Caltagirone
Una lezione moderna, attuale, che arriva in un momento storico nel quale si ravvisa, di giorno in giorno, l’esigenza di una nuova rinascita etica e morale, per una nuova certezza dei diritti e dei doveri, per una ritrovata speranza nel lavoro, per una nuova esigenza di solidarietà tra gli uomini e i cittadini, per la ritrovata esigenza di riconfermare lo Stato democratico, così come lo abbiamo conosciuto negli ultimi 60 anni, tra alti e bassi, tra gioie e dolori, tra successi e insuccessi. La lezione di Don Sturzo, che aveva una visione limpida dell’impegno dei cattolici in politica, l’affermazione dei principi e dei valori del cattolicesimo sociale attraverso l’indiscutibile piattaforma democratica, è sempre più attuale. Un ritrovato messaggio analizzato - il 16 marzo scorso a Terrasini in un convegno organizzato da Ino Cardinale e coordinato dal dott. Vincenzo Morgante dal titolo: Per una nuova speranza. La testimonianza di Don Luigi Sturzo al servizio del paese - da autorevoli relatori come i Vescovi di Piazza Armerina e Monreale, Mons. Michele Pennisi e Mons. Salvatore Di Cristina, accanto al Sen. Calogero Mannino e con l’ausilio di un’intervista rilasciata dal sen. Giulio Andreotti. “Non si può – ha detto il Sen Andreotti – dividere l’uomo politico dall’uomo religioso, dai suoi ideali, dai suoi principi. La politica non è tecnica ma il mezzo attraverso il quale realizzare i fini cui si ispira”. I fini di Don Sturzo erano quelli declamati dalla dottrina sociale della Chiesa, la solidarietà tra gli uomini, la libertà di autodeterminarsi, come uomini e come istituzioni e la consapevolezza che lo Stato, l’Economia e la Società sono posti al servizio delle libertà degli uomini. Don Sturzo è stato capace, partendo da un piccolo paesino della dimenticata provincia siciliana, del profondo sud, di risolvere il conflitto aperto con la fine del potere temporale della Chiesa e restituire ai cattolici la libertà di impegnarsi in politica accettando e, anzi, accogliendo i valori dello Stato laico, interpretando la religione solo come l’ispirazione all’agire politico, non come dogma indiscusso. Sono questi i concetti ricorrenti che sono stati declamati negli interventi degli oratori, di fronte ad una platea attenta e numerosa, in un momento storico critico nel quale ogni certezza sembra dissolversi di fronte ad una crisi sociale, politica ed economica che sembra difficile da fermare.
mercoledì 11 marzo 2009
L'imperativo categorico e le cariche di Pisa
Dalle notizie che sono state date non si capisce molto bene. Pare che gli studenti volevano entrare in ateneo e assistere alla presentazione del libro scritto dall’ex Presidente del Senato Marcello Pera dal titolo,“Perché dobbiamo dirci cristiani”, e fare qualche domanda al Senatore. Magari criticarlo, fischiarlo se del caso. Non fosse altro che per l’imperativo categorico contenuto nel titolo. Per prevenire le contestazioni pare che l’ingresso agli studenti sia stato vietato. Sono, quindi, iniziate le proteste, grida, insulti e, alla fine, è stato acceso un fumogeno. Da quel momento sono partite le cariche della polizia in tenuta antisommossa. Fatale che qualcuno si sia fatto male. Nessuno vuole giustificare gli atti di violenza ma l’atteggiamento della polizia mi è sembrato esagerato. Perché vietare l’ingresso in ateneo agli studenti? Perché vietare l’esercizio della critica? Perché non misurarsi con chi la pensa diversamente? Non basta avere ragione, dice una massima attribuita all’On. Giulio Andreotti, bisogna che qualcuno te la riconosca. Una massima che Marcello Pera non vuol seguire. Non mi voglio unire al coro di chi dice che siamo sull’orlo di una nuova dittatura, o meglio, in un regime di democrazia autoritaria, ma convincetemi che non è così, perché troppe cose cominciano a dimostrare il contrario.
http://www.youtube.com/watch?v=lrtAKmnhDgw
http://rassegna.governo.it/testo.asp?d=32976406
domenica 8 marzo 2009
Carlo Lucarelli. "Se non si reagisce si è già morti di tante cose"
sabato 28 febbraio 2009
Condannata la Telecom
venerdì 27 febbraio 2009
Si chiude il capitolo della mozione di sfiducia a Terrasini
Con 10 voti a favore e sette contrari si è chiuso a Terrasini il capitolo mozione di sfiducia. Assenti giustificati la consigliera Angela Viviano e Saverio Davì, a favore della mozione. Un poco meno giustificato Giuseppe Militello che, a causa dell’ora tarda, ha lasciato l’aula. L’unico momento di tensione c’è stato quando il consigliere Gianfranco Puccio ha puntato il dito contro il sindaco Consiglio. Puccio gli ricordava con virulenza gli 87 voti di scarto sul suo contendente Anselmo, grazie ai quali il dott. Consiglio ha conquistato la poltrona di primo cittadino. Voti ottenuti grazie all’appoggio pattuito con la coalizione Cammillleri. Il sindaco non ha gradito il richiamo e le pesanti parole usate da Puccio e si è alzato dalla sedia seguito dai suoi sostenitori. La sensazione di scoramento, per una politica che si scontra e si arena sul muro di un conflitto istituzionale che resta intatto e non risolto, è grande. Molte cose di una certa gravità sono state dette durante la seduta ma il pubblico è rimasto indifferente, come se fosse ormai assuefatto a tutto. Tutto si può fare e tutto può essere giustificato, come se questo non lo riguardasse. Smentire ciò che si è detto pochi giorni prima. Giocare su due tavoli e ammettere apertamente questa condotta usata per raccogliere il massimo risultato, con il minimo investimento. Sostenere che questo gioco ambiguo sia servito per arginare e tenere lontani i vecchi politici, sempre in agguato, mentre i nuovi hanno imparato bene la lezione e l’hanno eseguita alla perfezione. Un rimestare delle carte in tavola, per cui non si sa più dov’è la destra e dov’è la sinistra, cosa fa la mano destra e cosa la sinistra. È stato fatto notare da molti consiglieri che il paese è inchiodato al conflitto irrisolto tra Sindaco e Consiglio comunale e lo stesso primo cittadino se ne accorge se auspica, come sempre ha fatto in questi mesi, la collaborazione dei consiglieri. Una collaborazione che però è difficile si possa concretizzare, quando ci si accorge che si fa sul serio e le nomine assessoriali sono usate per scongiurare la mozione di sfiducia. Non per nulla gli otto consiglieri della minoranza del sindaco sono stati eletti in otto liste diverse. C’è un progetto che li accomuna? Loro lo rivendicano. E rivendicano con forza la loro ribellione a chi li vuole soggiogare politicamente. Ma sono argomenti deboli. Noi non sappiamo se questi tre consiglieri che prima hanno, almeno formalmente, condiviso il percorso che portava dritto alla sfiducia e poi hanno fatto dietro front avrebbero comunque tenuto la stessa posizione. Il dubbio è lecito, perché la stessa mattina della presentazione della mozione sono stati licenziati tre assessori che hanno lavorato bene per nominarne altri, purtroppo tutti strettamente legati agli interessi e alle cointeressenze, anche parentali, di chi fino all’altro ieri contestava con estrema virulenza il sindaco e oggi si scopre fulminato sulla via della gestione diretta del potere. Per far che? Il grande assente dal dibattito di ieri è stato proprio il progetto che dovrebbe tenere insieme l’accozzaglia, com’è stata definita. Più di tutto desta meraviglia l’atteggiamento del sindaco, al quale nessuno vuole negare le sue buone intenzioni, ma resta incontestabile il fatto che tra il coraggio di affrontare a viso aperto una strada lastricata da vecchi schematismi politici, ma che avrebbe sciolto il conflitto e avrebbe reso tutto più chiaro sceglie, invece, la via del compromesso riconfermando il problema e rendendo tutto nebuloso. Troppi i dubbi e le ombre. Cosa vuol dire la frase del documento sottoscritto dai tre consiglieri comunali e dal sindaco che dice, “eccellenze da premiare secondo il merito”. Forse fino ad oggi il sindaco non ha premiato le eccellenze? E come può essere se lui non perde occasione per dire che la sua è un’ottima amministrazione? Anche altri sindaci, com’è stato ricordato ieri sera, si sono sempre scontrati con le pretese e le arroganze dei singoli consiglieri comunali, ma i predecessori del dott. Consiglio si sono sempre mossi all’interno delle logiche di gruppi politici, di partiti e se i partiti, il Pdl, l’Mpa, l’Udc, in questa storia ci hanno messo la faccia non deve essere stato per caso. Sono stati gabbati dai singoli che però anche loro auspicano, nei loro interventi, la necessità di allargare la maggioranza perché sanno che è impossibile amministrare senza. Ma se dopo ieri sera i 12 resteranno tali, c’è da giurare che quella di ieri è stata solo una battaglia, vinta dal sindaco, della guerra, ancora tutta da disputare, contro il consiglio comunale. Se invece, come sta già accadendo, ricomincerà il gioco della rincorsa al consigliere, si aprirà il solito mercimonio di questi mesi e il sindaco ricadrà nella spirale dei ricatti e dei veti incrociati. In ambedue i casi la paralisi politica e amministrativa è assicurata.