domenica 20 dicembre 2009

2°Tg 19-12-09

Acqua che scotta

Riesplodono in queste ore, nei comuni del comprensorio partinicese, le polemiche sulla gestione dell’Ato idrico e sulla società Acque Potabili Siciliane. Nei giorni scorsi, le prime fatture targate Aps sono state recapitate agli utenti con importi notevolmente superiori a quelli finora ricevuti con la gestione comunale. Dappertutto, nei consigli comunali, stanno nascendo iniziative sostenute con ordini del giorno e mozioni per chiedere di uscire, un po’ come è avvenuto per i rifiuti, dall’ato idrico. La gestione del servizio idrico è stata rilevata dall’Aps Spa da circa anno. Nella conferenza di servizio del 5 novembre del 2008, i sindaci stabilirono le tariffe da applicare per ogni singolo comune. In linea di massima, le tariffe sono rimaste invariate per i consumi da 0 a 140 mc, come nel caso di Cinisi, e sono stati stabiliti aumenti per i consumi superiori, sempre nel caso di Cinisi, fino a 15 euro per i consumi da 140 a 200 mc e fino a 30 euro per quelli da 200 mc in poi. Tuttavia, le prime fatture arrivate hanno subito aumenti notevolmente superiori, fino a 138,00 per un consumo dello stesso periodo, il primo semestre dell’anno, che prima ammontava a soli 16 euro circa. In un comunicato stampa, il Comitato Civico Liberacqua, che fin dalla prima ora si è opposto alla gestione privata dell’acqua, si chiede come sia possibile che le fatture arrivate siano state calcolate sulla base di un consumo forfettario e presuntivo per via del fatto che l’APS, in un anno, non è riuscita a mappare i reali consumi di ogni utenza.
In effetti, le fatture esose sono state recapitate alle utenze inabitate o della fascia esterna dei paesi, cioè in abitazioni prevalentemente estive. I sindaci, presi di mira dalle proteste degli utenti, hanno chiesto l’immediata apertura degli sportelli, anche questi ancora inattivi nella maggior parte dei comuni e comunque previsti solo per il ricevimento di poche ore per sole due volte al mese. Le voci delle fatture sono rimaste invariate. Oltre alla tariffa
base per il consumo, alle altre tre superiori e alle unità abitative totali, ci sono le voci sulla fognatura, depurazione e quote di servizio. Ma perché allora arrivano fatture così elevate?
Al centinaio di utenti che si sono recati ieri a Cinisi per reclamare allo sportello dell’APS immediatamente attivato, ad alcuni è stato detto che le fatture sono il frutto di un conguaglio, ad altri di un importo per voltura sbagliato, ad altri ancora che il contatore potrebbe avere problemi tecnici invitandoli a fornire l’effettiva lettura. Il Comitato Liberacque, invece, sostiene che le fatture esose potrebbero essere il frutto dell’applicazione retroattiva della nuova articolazione tariffaria stabilita nella conferenza dei servizi del novembre 2008 e annuncia la presentazione di un ricorso al TAR, nel quel si chiederà l’annullamento del provvedimento amministrativo con il quale è stata applicata la retroattività, illegittimità già sentenziata dal CO.VI.R.I, dal Consiglio di Stato, dal TAR del Veneto, della Sardegna e del Lazio e richiamata in una nota all’Autorità dell’ATO 1 Palermo ed al gestore APS SpA, anche dal Difensore Civico di Bagheria.
Inoltre, sembra che in alcuni casi, come a S.Giuseppe Jato, Mezzojuso o Terrasini, nelle fatture sia stata ancora applicata la tariffa sulla depurazione anche per i paesi, come in questo caso, sprovvisti di impianto nonostante la sentenza della Corte Costituzionale dell’ottobre 2008 abbia stabilito il contrario. Altro capitolo della polemica riguarda gli investimenti. Per Cinisi, ad esempio, sono stati previsti 11 MLN per la rete idrica e fognaria e, in genere, l’Ato ha approvato 25 progetti per 37 MLN su quasi tutti comuni dell’Ato, solo che non è possibile prevedere quando cominceranno i lavori perché prima di aprire i cantieri, i progetti devono essere vagliati dall’Agenzia Regionale Rifiuti e Acque delll’assessorato regionale territorio ambiente. Altri casi emblematici riguardano quelle realtà nelle quali sussistono acquedotti privati, come nel caso della S.O.R.I. di Carini. La S.O.R.I è proprietaria di più della metà dell’acquedotto di Carini e delle riserve idriche e senza queste ultime, l’Aps rischia di non poter garantire al 100% la fornitura. Tuttavia, qual è l’esatto rapporto tra l’APS e La SORI non è completamente chiaro, tanto che sembra siano al vaglio azioni legali. Infine, in diversi comuni, le nuove tariffe stabilite dalla conferenza dei servizi avrebbero dovuto essere sottoposte al vaglio delle assemblee consiliari e non lo sono state, mentre la Provincia, con la sua Segreteria Tecnica Operativa preposta a vigilare sul corretto operare del gestore, non si è ancora pronunciata rispetto ai presunti disservizi e alle fatture esose emesse.

pubblicato sul blog Partinico.info

mercoledì 25 novembre 2009

Parlano gli autori di “E’ vietato digiunare in spiaggia” Renato Sarti e Franco Però Danilo Dolci e il suo sciopero alla rovescia segnarono un’epoca

Ha destato ultimamente molto interesse in Italia la rappresentazione teatrale di Renato Sarti e Franco Però dal titolo “E’ vietato digiunare in spiaggia” su Danilo Dolci. La rappresentazione, messa in scena nelle scorse settimane a Partinico e che speriamo di poter rivedere anche a Palermo nei prossimi mesi, narra del famoso processo del 1956 intentato contro Danilo Dolci, dopo che questi aveva coinvolto, in un singolare “sciopero alla rovescia”, un centinaio tra contadini e manovali di Partinico e Trappeto nella sistemazione di una vecchia strada impraticabile. Una iniziativa che nacque per denunciare la miseria di quelle popolazioni e la colpevole assenza di lavoro. In quel processo, nel quale fu condannato, la sua difesa fu assunta, tra gli altri, da Pietro Calamandrei, uno dei padri più autorevoli della Costituzione. Nella sua arringa, che fu anche l’ultima, egli difendeva Dolci per affermare con forza i principi costituzionali in un paese che non era ancora in grado di, e tardava a, garantirli per tutti; il diritto al lavoro, ad una vita dignitosa per tutti, alla libertà di manifestare in forma civile il proprio dissenso. Nella rappresentazione il ruolo di Danilo Dolci è affidato a Paolo Triestino mentre il ruolo di Calamandrei è affidato, di volta in volta, a personaggi che si sono distinti nella difesa dei diritti civili, della pace, della solidarietà, sanciti dalla Costituzione. “Uno dei momenti più emozionati – dice Renato Sarti autore dei testi - è stata l’ultima rappresentazione a Milano, dov’è intervenuta nel ruolo di Calamandrei Norina Pesce, la moglie del comandante Pesce medaglia d’oro al valor militare per la Resistenza. Questa minuta donna, anche lei partigiana, più volte arrestata e torturata nel carcere di San Vittore, seppur balbettando per l’emozione, è stata capace di suscitare un forte sentimento di riconoscimento e condivisione dell’antifascismo che negò, invece, i diritti costituzionali che Dolci rivendicava”. A Partinico il ruolo di Calamandrei è stato affidato a Giuseppe Casarrubea, uno dei massimi storici della Sicilia contemporanea.
“Per fortuna – dice il regista della rappresentazione teatrale Franco Però - tutti, sia gli interpreti sia il pubblico, hanno capito che l’affidare il ruolo di Calamandrei a persone come Gianni Barbacetto, Gian Carlo Caselli, Nedo Fiano, Vincenzo Consolo e diversi altri, non serve per fare pubblicità al nostro lavoro ma è un’idea che è nata da una chiacchierata con Gherardo Colombo, il quale ci ha detto che, da pensionato, vuole mettere su un progetto per insegnare la Costituzione ai ragazzi”.
Dell’opera educativa molto vasta di Danilo Dolci resta il patrimonio di testimonianza che bisogna cercare di salvaguardare e divulgare. “Viviamo in un’epoca nella quale – continua Renato Sarti – il livello di amenità, quando non di falsità generate dalla tendenza al revisionismo storico, è talmente elevato che i nostri ragazzi, quelli del nord, del centro e del sud, hanno perso la memoria del nostro paese. In un recente sondaggio svolto nelle scuole di Milano è venuto fuori che il 60% degli studenti è convinto che la strage di Piazza Fontana sia stata opera nefasta delle Brigate Rosse e, inoltre, non sapevano nemmeno in che decennio collocarla”. Danilo Dolci è una figura molto particolare del nostro tempo. “Era in contatto con le maggiori personalità internazionali del suo tempo – dice ancora Franco Però – candidato più volte al Nobel per la pace, vincitore del Premio Lenin, eppure è quasi stato cancellato dalla memoria collettiva”. Pare che in Italia si possa anche questo ed è proprio dell’arte, spesso, ridare voce e conoscenza a chi lo merita com’è per Danilo Dolci.

Le mie scelte personali e il giornale di Cinisi

Ho aspettato il momento opportuno per dare una notizia che mi riguarda personalmente e penso che adesso sia arrivato. La notizia è che non guiderò più il Giornale di Cinisi perché ho accettato di occuparmi della comunicazione del Comune di Cinisi. E' una cosa già avvenuta all'interno del giornale con il mio predecessore, Faro D'Anna, attualmente addetto stampa del comune di Terrasini. Oggi come allora, il direttore responsabile, davanti alla prospettiva di svolgere un ruolo diverso, si è confrontato con la redazione e lasciato liberi tutti di decidere per il meglio del futuro del giornale. Il Giornale di Cinisi è stato sempre in grado di confrontarsi con quel che succede sul territorio ed è per questo motivo che è di tutti e di nessuno. Identificabile con una posizione di confronto con le amministrazioni di Cinisi e di Terrasini, a volte aspro a volte meno. Chi scrive nel Giornale di Cinisi non dimentica mai che prima di ogni cosa si è chiamati a fare informazione ed esprimere opinioni su queste che, naturalmente, possono essere diverse. Sotto la direzione di Faro, così come con la mia, diverse volte è capitato di essere in disaccordo con alcuni redattori ai quali abbiamo corretto quel che hanno scritto, forse male forse bene, ma mai censurato. Inoltre, i fatti non sono sempre uguali né fine a se stessi. Le situazioni cambiano, si evolvono, e chi si è dato al mestiere di scrivere, se lo vuol fare seriamente così come seriamente lo vogliono fare coloro che stanno dentro il giornale che resta sempre aperto a chiunque si voglia misurare con questo affascinante lavoro, lo sa. Io non ho nascosto nei miei articoli la necessarietà di un'analisi sull'amministrazione di Cinisi che, a mio avviso e questa è un'opinione e come tale certamente contestabile ma opponendo fatti, è, per molti aspetti, positiva.

La penna del direttore di allora, Faro D'Anna, all'indomani delle elezioni di Terrasini, espresse una preoccupazione che si rivelò profetica. In un suo editoriale si augurava che la nuova amministrazione Consiglio non commettesse l'errore di chiudersi dentro le stanze del potere e auspicava il coinvolgimento di energie fresche in grado di far decollare il paese. Ebbene, dopo due anni e mezzo, difficilmente si può affermare che quella di Terrasini sia una buona amministrazione che affronta e risolve i problemi del paese e nonostante alcuni assessori che si sono avvicendati nelle ormai troppe giunte siano stati volti nuovi della politica, non sono riusciti a lasciare alcunché, tanto che si può facilmente profetizzare che alle prossime elezioni, la retorica elettorale sarà tale e quale a quella di due anni e mezzo fa. Eppure Faro D'Anna svolge le sue mansioni all'interno di quella amministrazione. La stessa cosa vale per quel che mi riguarda perché, a qualcuno sfugge, forse perché non si applica abbastanza e risolve tutto con facili stereotipi, noi facciamo questo mestiere, ci occupiamo di informazione, siamo giornalisti iscritti all'ordine e, tra le altre cose, ci occupiamo anche di informazione istituzionale. Le nostre scelte, che restano nell'ambito della valutazione personale, non tolgono nulla al Giornale di Cinisi e alla sua funzione di organo d'informazione. Perché una cosa è l'informazione, un'altra l'opinione, che pure resta vincolata al mestiere di giornalista che non è un automa, un robot che registra quel che avviene e basta, e non è sua l'obiettività o lo stare al di sopra delle parti, tutt'altro. Anzi, è necessario averla e difenderla se si crede di essere nel giusto. Il problema sta nel riconoscere, se ce ne sono, errori di valutazione e rispettare quella degli altri ed è questo, è la mia opinione, il difetto di molti, sia a destra sia a sinistra. Un difetto che deriva dalla crisi della politica che, inesorabilmente, determina il deterioramento del confronto sulle cose secondo i canoni della massima filosofica hegeliana, data la tesi, c'è l'antitesi cui segue la sintesi alla quale, è questa la differenza, inevitabilmente si arriva in diversi modi o con gli strumenti del confronto democratico o con l'imposizione, ma ci si arriva e per ovvi motivi. Io ho una mia idea sull'amministrazione di Cinisi e sul suo sindaco e posso esprimerla perché non è nuova e perché l'ho già scritta. Io credo che, al di là del merito e delle capacità più o meno riconosciute del sindaco Salvatore Palazzolo, egli ha un'idea di paese, di città, e su quella si muove e compie le sue scelte. Palazzolo vuole far compiere a Cinisi una svolta culturale. Vuole che il paese che amministra diventi sempre di più moderno e che leghi il suo destino allo sviluppo correlato alla legalità. Per riuscirci deve fare politica, non solo a Cinisi ma fuori da suoi confini. Forse non ci riesce fin come ci si aspetterebbe o si vorrebbe. Su questo deve essere aperto il confronto con chi pensa il contrario, sapendo distinguere quando ci riesce a quando no. Naturalmente in questa sede non posso esprimere e non posso sviscerare tutti gli argomenti opponibili al confronto, per ragioni di spazio. Per quel che mi riguarda spero che la mia nomina, comunque temporanea, sia il frutto del riconoscimento delle mie capacità e non un "premio" per le mie idee. Del resto, ben più autorevoli esempi potrei citare per confermare che a mio avviso vale la prima ipotesi. Enrico Mentana, che ho già citato su queste pagine, molti anni fa lasciò il Tg1 per passare alla concorrenza e fondare un suo giornale completamente nuovo. Dopo aver svolto egregiamente il suo lavoro, lo stesso potente editore che lo volle allora gli ha posto di fronte un ordine che se avesse eseguito lo avrebbe svilito come uomo e come professionista, e ha lasciato la direzione di Matrix. Il tribunale amministrativo al quale Mentana si è rivolto, ha sancito che aveva ragione. Con la sua scelta ha salvaguardato la sua libertà e la sua dignità e, immagino, il suo no non dev'essere stato semplice. Non esiste, né potrà mai esistere, una norma che possa obbligare all'etica professionale, politica o di cittadinanza. O si ha o non si ha e il riconoscimento dell'una o dell'altra condizione è degli altri. Anche nel mio caso, il giudizio definitivo lo lascio alla stragrande maggioranza dei miei lettori e di chi mi conosce.

Novembre 2009


mercoledì 30 settembre 2009

La mafia non si ferma davanti una biblioteca né con il nome di Peppino né con quello di Don Baggi

È già diventato un caso nazionale la rimozione dell'intitolazione della biblioteca di Ponteranica a Peppino Impastato, da parte del nuovo sindaco leghista passato agli onori della cronaca in un battibaleno. Il sindaco di Ponteranica ha deciso di cambiare nome alla biblioteca, per intitolarla ad un prete del luogo scomparso nel 2000. Sembra un altro sfregio alla memoria di Peppino, questa volta perpetrato a 2000 chilometri di distanza da Cinisi, il paese che lo ha visto nascere e morire. I cori di protesta si sono sollevati da tutta l'Italia, quella legata alla memoria di Peppino e a quel che simboleggia il suo nome, una vera lotta di contrasto culturale, e non solo, alla mafia. Non sappiamo quanto sia stata voluta dalla gente del luogo l'intitolazione della biblioteca a Peppino, ne sappiamo cosa pensano adesso gli abitanti di Ponteranica della nuova iniziativa del sindaco, Cristiano Aldegani. La legge prevede, ma ormai la legge è qualcosa di sempre più opinabile, che l'intitolazione di strutture pubbliche a personaggi deceduti cui è riconosciuta una rilevanza morale, deve avvenire dopo dieci anni dalla scomparsa. Non sono ancora trascorsi dieci anni dalla scomparsa di don Giancarlo Baggi e il sindaco ha nel frattempo provveduto a far rimuovere la targa, come a voler sfruttare il tempo che resta, meno di un anno, per cancellare l'associazione tra il nome di Peppino e la biblioteca. Peppino era siciliano, Ponteranica sta in Lombardia, provincia di Bergamo, immediata l'associazione tra la volontà di rimuovere la targa, da parte di una giunta leghista, e le accuse di razzismo ai danni di un giovane siciliano morto per mano mafiosa. Ancora, la mafia non è più solo un fenomeno criminale siciliano ma acquista sempre di più ramificazioni e si espande in tutte le regioni italiane, anche in Lombardia. Infine, il risultato di questa levata d'ingegno è quello di mettere uno contro l'altro il nome di Peppino e quello di don Baggi, che noi non conosciamo. Siamo nella dimensione dell'inconsistente permanente, dell'irragionevolezza risoluta, del conflitto a tutti i costi e, soprattutto, del consumo ad oltranza di tutto, uomini, cose, fatti, memoria, storia. Siamo sotto un bombardamento continuo di idiozie che finiscono in prima pagina per un giorno e poi scompaiono senza lasciare traccia e senza cambiare una virgola intorno. Sia come sia, le associazioni che fanno capo a Peppino Impastato, così come Giovanni, il fratello, annunciano battaglia, a ragione, contro l'atto mediatico di un giovane sindaco che vuole affermare un'indentità claustrofobica, inutile e controproducente per tutti. La mafia e i suoi interessi non si fermano certo davanti ad una biblioteca, né con il nome di Peppino né con quello di don Baggi.

domenica 19 luglio 2009

Strage Borsellino 17 anni dopo la stessa domenica di Luglio

La strage Borsellino 17 anni dopo rende ancora più evidente la differenza tra un paese normale e uno normalizzato. In un paese normale non si potrebbe accettare il sospetto, nemmeno l’idea, che un pezzo di Stato si sia armato contro un altro pezzo di Stato, così come sembra essere successo, ancora una volta, con la strage Borsellino. L’analisi della situazione geopolitica degli anni 70’, all’epoca della strategia della tensione, forse poteva rendere comprensibile questo perverso rapporto tra organi dello Stato, ma nel 1992 non c’era più da un pezzo il muro di Berlino a dividere due sistemi incompatibili l’uno con l’altro. Perché allora lo Stato sembra si sia ancora armato per sterminare con le auto-bombe suoi rappresentanti? Quella rabbia, sentita molto forte quella domenica di luglio di 17 anni fa è ancora presente nella società civile. È una rabbia repressa, da paese normalizzato. In un paese normale quella rabbia sarebbe stata interpretata dalla politica e gli avrebbe restituito uno scopo, quello di un paese migliore, più civile. Così come successe molti anni fa, con la rabbia delle classi più deboli della società che ambivano alla rivoluzione. I partiti di massa se ne fecero interpreti e il risultato è una società un po’ più giusta di quella di 150 anni fa. In un paese normale un magistrato non sfilerebbe ai cortei, sempre più esigui, per la commemorazione di un collega ucciso insieme alla sua scorta. Se lo fa è perché lui riempie il vuoto lasciato da chi dovrebbe, con le leggi, con le scelte e le lotte politiche, liberare lo Stato dalla morsa economico-criminale della mafia. Se lo fa è perché rivendica più organici per fare bene il suo lavoro. Quello che ci si chiede è chi ha normalizzato, per l’ennesima volta dopo il 1992, lo stato italiano quando in quel momento tutte le coscienze della nazione si erano sollevate per dire finalmente basta al malaffare e alla connivenza tra la politica e la mafia. Una cosa che denunciano i magistrati, ieri con Falcone e Borsellino, e oggi con i loro colleghi impegnati sul fronte delle indagini contro lo stesso sistema, le stesse connivenze. In un paese normale non potrebbe accadere che nella commemorazione di una strage ci siano le volanti della polizia e dei carabinieri sotto il palco dal quale parla un loro ex collega contro lo Stato, dopo essere stato incriminato e messo alla gogna e scagionato da ogni accusa, perché aveva, con le sue competenze tecniche, collaborato a centinaia di inchieste e fornito migliaia di dati con le intercettazioni telefoniche, compreso quelle relative ad un telefono sul quale, durante i giorni di luglio di 17 anni fa, transitavano conversazioni da e per altre utenze mafiose e non. Sarà stata questa la sua colpa? In un paese normale una cosa del genere non potrebbe succedere. Certo, fin qui queste scritte sono solo considerazioni a latere, però, di un fatto, la riapertura delle indagini, nonostante condanne per esecutori e mandanti vagliate finanche dalla Cassazione, sulle stragi del 1992/93. Segno che questa storia deve ancora essere scritta tutta. Non posso biasimare i tanti che, nonostante la rabbia provata ed espressa 17 anni fa, oggi non c’erano alla commemorazione della strage Borsellino. La loro rabbia è stata tradita da troppi per essere ancora li. In un modo o in un altro sono ancora presenti e, sia pure a fatica, possono ancora dare corpo alla loro sete di giustizia e di verità.

lunedì 1 giugno 2009

Video e fotografia per indagare su mafia, pizzo e legalità.




Photoficine. Laboratorio multimediale per adolescenti di Ballarò

Video e fotografia per indagare su mafia, pizzo e legalità.

Con la macchina fotografica e la cinepresa a caccia di persone e luoghi.



Per i ragazzi di Photfficine - http://www.photofficine.it/ - un laboratorio sociale animato da un gruppo di adolescenti di Ballarò, il popolare quartiere nel centro di Palermo, il video e la fotografia sono gli strumenti utilizzati per scoprire la realtà che li circonda. Per loro, giovani tra dodici e diciassette anni, alcuni di origini indiane che frequentano il liceo classico Garibaldi o l’istituto tecnico Filippo Parlatore, oppure il liceo Scientifico B.Croce, si tratta di una nuova esperienza percettiva. Imparano a confrontarsi con le tematiche del territorio e ad usare la fotografia e la cinepresa per raccontare persone e luoghi.
Oltre a costruire esperienze collettive indagando con la fotografia e il video sul terremoto del Belice, sulla legalità riprendendo i momenti della festa di “AddioPizzo”alla Magione e sulla mafia, come hanno fatto nei giorni scorsi a Cinisi con interviste ai protagonisti della storia di Peppino Impastato, stanno seguendo anche progetti individuali cercando di capire quali sono le problematiche dei migranti di II generazione, oppure conoscere il lavoro che svolgono le associazioni del centro storico o ancora cercare di capire come risolvere il problema dei rifiuti.

Dipu, Rifat e Manish sono tre dei ragazzi coinvolti nel progetto.

D - Quali sono le tematiche che avete affrontato finora?
R - Siamo stati a Gibellina e a Santa Margherita Belice. Abbiamo indagato sul terremoto con interviste, video e fotografie.
D - Voi che avete origini indiane vivete fenomeni di razzismo a Ballarò?
R - Assolutamente no. Siamo ormai tanti e non veniamo percepiti come diversi. Per di più noi ci sentiamo palermitani. Forse qualche anno fa, ci potevano ancora essere episodi di discriminazione ma adesso sono sempre più rari.
D – Chi vi ha colpito di più, finora, delle persone che avete conosciuto?
R – Riccardo Scibetta. È un fotografo professionista. Gli effetti delle sue foto a panorami o persone, realizzate con tecniche assolutamente innovative, come quella delle foto sovrapposte, sono molto belle.

Giancarlo Lupo e Pietro Alfano, insieme ad Angela Onorato e Pietro Maita, sono i ricercatori universitari che hanno ideato il progetto Photofficine.

D – Com’è nato il progetto Photofficine?
R – Da un’osservazione semplice. Abbiamo rilevato che nel centro storico di Palermo, a Ballarò, mancava un centro di aggregazione che potesse sensibilizzare i giovani alle tematiche del territorio. Così, nel 2007, abbiamo presentato un progetto al Ministero della Gioventù per il bando “Giovani idee che cambiano l’Italia”, che prevedeva la creazione di 4 laboratori, audiovideo – fotografia – photolangage – e uno di percezione, tutti rivolti a giovani adolescenti per sensibilizzarli alle tematiche del territorio attraverso strumenti multimediali. I laboratori hanno finalità percettivi, servono per indagare le modalità di percezione della realtà da parte dei ragazzi.
D – Quanto dureranno i laboratori?
R – Abbiamo cominciato nel gennaio del 2009 e si concluderemo entro ottobre. Il lavoro prodotto sarà poi oggetto di una mostra. Nel frattempo stiamo mettendo in rete, attraverso un sito e un blog, quello che man mano viene fuori dai montaggi delle riprese e dalle foto.
D – Quanti sono i ragazzi coinvolti?
R – Abbiamo cominciato con circa venti ragazzi, anche se l’assiduità non è una loro qualità. Quelli che non mancano nessun appuntamento sono una decina.
D- Confermi il fatto che i ragazzi, provenienti da diverse etnie, sono integrati con i loro coetani palermitani?
R – Si, l’integrazione tra culture è una realtà consolidata a Ballarò, un quartiere dove vivono ormai da molti anni persone di diversa etnia.

Giovanni e Giuseppe sono gli altri due ragazzi palermitani venuti a Cinisi, insieme ai loro amici di origine indiana, per indagare sulla mafia.

D – Cos’è secondo te la legalità?
R – Una regola necessaria alla convivenza.
D – Da quanto vivi a Ballarò?
R - Da cinque anni. Mi trovo abbastanza bene.
D – Chi ti ha colpito di più delle persone che hai conosciuto finora?
R – I ragazzi di LiberoFuturo. Credono in una Sicilia libera dalla mafia.
D – Quali sono i vostri laboratori individuali?
R – Sto indagando sul lavoro nero e sui prodotti contraffatti.
D – Ballarò è un quartiere dove si può trovare lavoro?
R – Penso di no. Ma è un problema diffuso siciliano non solo di Ballarò. È un problema che dipende da tutti, dal governo nazionale e dai siciliani.
Per ultimo ho chiesto a questi ragazzi cosa volevano fare da grandi. Tutti sono molto appassionati dalla fotografia e dal Video. Studiano al liceo, qualcuno di loro vorrebbe poter cambiare le cose, intraprendere la carriera militare, un altro vorrebbe fare l’archeologo ma sa che è difficile, la sua famiglia è molto numerosa, sa che non potrà mantenerlo agli studi. È un po’ disilluso, a diciassette anni, ma spera che qualcuno possa aiutarlo.

martedì 5 maggio 2009

La legge elettorale è meglio che resti invariata

Il Si al referendum rischia di aggravare le storture del sistema partitico italiano

Puntuale arriva un altro referendum che, dopo lo scontro politico delle ultime settimane, è stato deciso si voterà il 21 giugno. I tre quesiti referendari aggrediscono la legge elettorale nazionale. I primi due quesiti vogliono abrogare il premio di maggioranza alla Camera e al Senato, il terzo, ed è quello che bisogna approvare, elimina la possibilità di candidarsi in più circoscrizioni e con la vittoria del Si non vedremo più Berlusconi o Veltroni, così come Di Pietro, Franceschini o Casini, candidati nelle circoscrizioni di tutta Italia. Con l’attuale legge elettorale, i seggi si ripartiscono proporzionalmente tra i partiti che hanno formato coalizioni. Quella che vince si attribuisce il premio di maggioranza. Se passasse il si al referendum, l’effetto sarebbe quello di attribuire il premio di maggioranza al partito che prende più voti. In sintesi, significa introdurre il bipartitismo in Italia, da una parte il Pdl dall’altra il Pd. Fino all’approvazione della legge che sarà sottoposta a referendum, in Italia c’erano 16 partiti, dopo le ultime elezioni si sono ridotti a 5, più alcune formazioni minori. Quelli più importanti Pdl – Pd – Lega – Udc – Idv – rappresentano quel che resta del vecchio arco costituzionale del sistema partitico italiano. Si può dire quel che si vuole di questa legge, che ha eliminato il collegio uninominale, che ha eliminato le preferenze, che ha cancellato il rapporto tra eletti ed elettori, ma una cosa l’ha fatta ha semplificato il sistema partitico, un obiettivo che s’è cercato di raggiungere per decenni. Rinunciare adesso a questo risultato, aspirando a ridurre il sistema a due partiti, il Pdl e il Pd, significa aggravare ancora di più le patologie che questa legge porta con se ed eliminare quanto di buono ha dato. Due soli partiti, liberi più di quanto non lo siano adesso di nominare i loro parlamentari, darebbero luogo all’autoriproduzione di un’oligarchia partitica sempre più lontana dai problemi reali del paese. Se il Pdl non avesse più la seccatura di accontentare le richieste della Lega sarebbero difficili le innovazioni del sistema come quella del federalismo fiscale. Se il Pd non dovesse fare i conti con Di Pietro, con tutti i difetti e i limiti che porta con se il suo modo di far politica, perderebbe l’unico freno alla deriva che spinge i suoi leaders a fare scelte che perpetuano solo le loro rendite di posizione e nient’altro. Se non ci fosse più l’Udc che è diventato, suo malgrado, il partito centrista che si fa portatore di istanze passibili di essere accolte sia dai riformisti sia dai conservatori, sarebbe eliminata una delle variabili più efficaci in grado di produrre l’alternanza al governo.
La Lega ha svolto, negli ultimi 15 anni, l’insostituibile funzione politica di scaricare le tensioni sociali del nord. Il Pdl pensa di cancellarla dal panorama politico con un referendum. Il Pd pensa di correggere, con la vittoria del si, l’errore politico grossolano di aver regalato a Di Pietro, con l’alleanza di coalizione fatta solo con l’Idv, la rappresentanza di tutta la sinistra e di coloro che sono rimasti fuori dal parlamento. Il calcolo politico di corto respiro non è mai foriero di buone prospettive. Se con il risultato del referendum si potesse ridiscutere dell’innovazione profonda della legge elettorale, dell’introduzione del doppio turno di collegio come in Francia o di introdurre il sistema di sbarramento tedesco e il vincolo della sfiducia costruttiva, due cose delle quali si discute da anni ma alle quali non si è mai arrivati, allora la vittoria dei Si dei primi due quesiti avrebbe un senso. Purtroppo, il referendum lascia insoluti tutti problemi e le insufficienze del sistema partitico ed elettorale italiano e la vittoria del Si ai primi due quesiti, sempre che si raggiunga il quorum necessario a dargli validità, rischia di regalare l’assoluta predominanza a due soli partiti che, in diverse occasioni, hanno dimostrato la totale insufficienza ad affrontare, con risolutezza e responsabilità, i nodi al pettine di un paese complesso come il nostro.

domenica 3 maggio 2009

La capacità solidale degli italiani farcita dalla consueta indole al raggiro

Il terremoto dell’Abruzzo ha reso manifesta, un’altra volta, la capacità solidale del popolo italiano, accanto all’elevato grado di raggiro che i nostri connazionali, singolarmente presi, sono in grado di perpetrare a scapito delle leggi dello Stato, farcita dalla voglia irrefrenabile, insana, di censurare ogni dissenso, una tentazione che dilaga in ogni angolo del nostro paese. Così, accanto alla corsa sincera per portare aiuto ai nostri connazionali abruzzesi colpiti dall’immane tragedia che ha sfiorato anche noi, nel racconto ospitato sul nostro giornale Giovani Giannusa, universitario cinisense che in quei giorni si trovava a L’Aquila, ne dipinge un ritratto limpido e drammatico, c’è l’incapacità, ad ogni livello di governo, di organizzare un minimo d’informazione o prevenzione al terremoto minacciato per mesi da una serie infinita di scosse telluriche, che hanno minato la serenità di migliaia di abitanti di quei territori e che, infine, per circa 297 di essi ha significato la morte. Di fronte all’efficienza della Protezione civile, che si può comunque migliorare se in alcuni luoghi sperduti del terremoto i soccorsi sono arrivati solo dopo 23 ore, abbiamo constatato la criminale deficienza e l’irresponsabilità degli sconosciuti, almeno finora, costruttori degli edifici in cemento armato, teoricamente antisismici, venuti giù come castelli di sabbia. Di fronte alla prontezza con la quale tutte le più alte cariche dello Stato si sono, giustamente, precipitate a testimoniare alle popolazioni colpite la solidarietà loro e dello Stato, c’è la censura nei confronti del solito giornalista, Michele Santoro, che ha il brutto vizio di mettere in risalto quel che non funziona, c’è sempre qualcosa che non funziona, e non si accoda allo sciame del “quanto siamo bravi ed efficienti”. Siamo un popolo contraddittorio, in grado di sprecare un mucchio di energie e risorse ogni giorno e capaci di mobilitazioni enormi nei casi di emergenza, forse per l’inconscia consapevolezza di farci perdonare i nostri quotidiani peccati, per poi scoprire, dopo anni e al prossimo appuntamento con la tragedia, che i soldi sono stati spesi male, che qualcuno ha truffato, qualche altro ha fatto il furbo e molto del lancinante dolore scoperto in una manciata di secondi, forse si poteva evitare.

venerdì 27 marzo 2009

Il caso Mentana e il mestiere di giornalista

Troppo spesso, negli ultimi tempi, sento ripetere frasi del tipo: i giornalisti dovrebbero essere imparziali, oppure, i giornalisti devono sentire le opinioni di tutti, o ancora, il tizio che ha scritto la tale notizia non è un buon giornalista e, infine, prima di scrivere qualcosa bisogna accertarsi se è vero. Sembra che tutti abbiano imparato il mestiere di giornalista, insomma, tra le materie comprese nella disciplina della tuttologia adesso, oltre alla politica e al mestiere di allenatore della nazionale di calcio, c’è anche quello del giornalista. Poi non si capisce perché tutti hanno licenza di trasgredire le più elementari norme etiche, in politica e nel lavoro, mentre i giornalisti devono essere, per decreto, corretti moralmente. A tutti, specie a qualunque tipo di personaggio pubblico, è data licenza di dire e fare tutto e il contrario di tutto, mentre dai giornalisti ci si aspetta una predisposizione genetica alla serietà, alla professionalità, bisogna che siano costituzionalmente sempre al di sopra delle parti, non devono esprimere giudizi, devono essere terzi per legge. A me pare che tutta questa prosopopea del, “so tutto io del giornalismo “, serva per nascondere la richiesta del tipo; potresti scrivere, per favore sotto dettatura, quello che ti dico di scrivere? Come se il giornalista non avesse una testa sua, non pensasse delle cose sue, non si facesse delle sue opinioni sulle cose che vede e sente. Forse opinioni sbagliate, a volte giuste, a volte frutto di percezioni, ma se qualcuno o qualcosa diventano oggetto di notizia, nel bene e nel male, ci deve pur essere un motivo. E poi, per fortuna, almeno in ambito locale, molto meno nel sistema nazionale che è molto omologato, c’è una vasta offerta di informazione. Giornali e blog locali, Tv, radio, chiunque può scrivere e informare e scrive e dice quello di cui è convinto, cosa che è vietata ai giornalisti. Però, ecco, siccome capisco che lo sforzo di individuare il bravo giornalista lo fanno in molti, voglio aiutare chi legge indicando l’esempio recente di un vero giornalista, Enrico Mentana. Il curriculum del, consentitemi l’autoelogio, collega Mentana è vastissimo e colmo di successi professionali riconosciuti nei più alti ambiti del giornalismo italiano e non solo. Enrico è stato capace di mollare, da un giorno all’altro, l’ultimo programma che aveva ideato, “Matrix”, perché è stato censurato dal suo editore che gli ha impedito di trattare il caso Englaro la sera della morte della giovane Eluana. Ecco, forse nella testa del suo editore, e non solo nella sua testa, c’era una frase del tipo; i giornalisti dovrebbero essere imparziali, oppure, i giornalisti devono sentire le opinioni di tutti, o ancora, il tizio che ha scritto la tale notizia non è un buon giornalista e, infine, prima di scrivere qualcosa bisogna accertarsi se è vero e poi anche, i giornalisti sovvertono la verità. Tutto questo bailamme per occultare la vera richiesta; scrivi, fai, tratta, quello che ti dico io. Enrico Mentana ha preso atto di questo, si è ribellato ad un’imposizione che era la negazione del suo mestiere, ha fatto i bagagli da gran signore ed è andato via piantando baracca e burattini. Ho sentito troppe poche voci che abbiano difeso Mentana o invocato l’urgenza di riconsegnarlo al suo mestiere. Un invito a tutti coloro che leggono, le critiche sono sempre ben accettate e, lo assicuro per me, fonte di riflessione ma lasciateci fare il nostro lavoro.

Il caso Mentana e il mestiere di giornalista

Troppo spesso, negli ultimi tempi, sento ripetere frasi del tipo: i giornalisti dovrebbero essere imparziali, oppure, i giornalisti devono sentire le opinioni di tutti, o ancora, il tizio che ha scritto la tale notizia non è un buon giornalista e, infine, prima di scrivere qualcosa bisogna accertarsi se è vero. Sembra che tutti abbiano imparato il mestiere di giornalista, insomma, tra le materie comprese nella disciplina della tuttologia adesso, oltre alla politica e al mestiere di allenatore della nazionale di calcio, c’è anche quello del giornalista. Poi non si capisce perché tutti hanno licenza di trasgredire le più elementari norme etiche, in politica e nel lavoro, mentre i giornalisti devono essere, per decreto, corretti moralmente. A tutti, specie a qualunque tipo di personaggio pubblico, è data licenza di dire e fare tutto e il contrario di tutto, mentre dai giornalisti ci si aspetta una predisposizione genetica alla serietà, alla professionalità, bisogna che siano costituzionalmente sempre al di sopra delle parti, non devono esprimere giudizi, devono essere terzi per legge. A me pare che tutta questa prosopopea del, “so tutto io del giornalismo “, serva per nascondere la richiesta del tipo; potresti scrivere, per favore sotto dettatura, quello che ti dico di scrivere? Come se il giornalista non avesse una testa sua, non pensasse delle cose sue, non si facesse delle sue opinioni sulle cose che vede e sente. Forse opinioni sbagliate, a volte giuste, a volte frutto di percezioni, ma se qualcuno o qualcosa diventano oggetto di notizia, nel bene e nel male, ci deve pur essere un motivo. E poi, per fortuna, almeno in ambito locale, molto meno nel sistema nazionale che è molto omologato, c’è una vasta offerta di informazione. Giornali e blog locali, Tv, radio, chiunque può scrivere e informare e scrive e dice quello di cui è convinto, cosa che è vietata ai giornalisti. Però, ecco, siccome capisco che lo sforzo di individuare il bravo giornalista lo fanno in molti, voglio aiutare chi legge indicando l’esempio recente di un vero giornalista, Enrico Mentana. Il curriculum del, consentitemi l’autoelogio, collega Mentana è vastissimo e colmo di successi professionali riconosciuti nei più alti ambiti del giornalismo italiano e non solo. Enrico è stato capace di mollare, da un giorno all’altro, l’ultimo programma che aveva ideato, “Matrix”, perché è stato censurato dal suo editore che gli ha impedito di trattare il caso Englaro la sera della morte della giovane Eluana. Ecco, forse nella testa del suo editore, e non solo nella sua testa, c’era una frase del tipo; i giornalisti dovrebbero essere imparziali, oppure, i giornalisti devono sentire le opinioni di tutti, o ancora, il tizio che ha scritto la tale notizia non è un buon giornalista e, infine, prima di scrivere qualcosa bisogna accertarsi se è vero e poi anche, i giornalisti sovvertono la verità. Tutto questo bailamme per occultare la vera richiesta; scrivi, fai, tratta, quello che ti dico io. Enrico Mentana ha preso atto di questo, si è ribellato ad un’imposizione che era la negazione del suo mestiere, ha fatto i bagagli da gran signore ed è andato via piantando baracca e burattini. Ho sentito troppe poche voci che abbiano difeso Mentana o invocato l’urgenza di riconsegnarlo al suo mestiere. Un invito a tutti coloro che leggono, le critiche sono sempre ben accettate e, lo assicuro per me, fonte di riflessione ma lasciateci fare il nostro lavoro.

venerdì 20 marzo 2009

Intervista al sen. Giulio Andreotti

Questa intervista a Giulio Andreotti è stata realizzata insieme ad Ino Cardinale a Roma, a Palazzo Giustiniani, per chiedere una testimonianza al senatore sul pensiero di Don Sturzo, in occasione di un convegno che si è tenuto a Terrasini dal titolo: Per una nuova speranza. La testimonianza di Don Sturzo al servizio del paese. Le risposte del senatore contengono concetti molto significativi che vale la pena di ascoltare.




martedì 17 marzo 2009

An e F.I si fonderanno nel Pdl. L’innovazione del bagaglio ideologico del partito di Fini

An e Forza Italia, il prossimo 27 marzo, fonderanno il Partito delle Libertà. In svantaggio sembra il partito di Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini, che si trova a competere con la leaderschip di Sivlio Berlusconi. Tuttavia, a parte il fatto che lo fa da più di 15 anni, i più attrezzati dal punto di vista dell’elaborazione ideale e di pensiero e che abbiano un progetto di paese sono gli uomini di An. L’Italia è molto cambiata negli ultimi 20 anni e la destra italiana ha saputo interpretare le nuove esigenze di una società in continuo movimento. Ha tradotto pragmaticamente l’esigenza di semplificazione del quadro politico riconoscendo nel bipolarismo, la formula con la quale governare un paese moderno e, soprattutto, innovare il suo bagaglio ideologico più di quanto altri abbiano saputo fare. In sintesi, la gran parte degli uomini di destra hanno saputo essere molto meno fascisti di quanto la gran parte degli uomini di sinistra hanno continuato a sentirsi, nell’esercizio del potere, comunisti. Inoltre, Forza Italia non esce e non può farlo, dalla concezione di partito azienda. Sicchè, vien da pensare, quello che si consumerà da qui a qualche giorno con la fondazione del Pdl, è il compimento di un lungo processo politico che ha coinvolto i vertici quanto la base del partito e può diventare l’investimento sul futuro, da parte degli uomini di An, al contrario di quel che finora hanno saputo fare gli uomini che vorrebbero interpretare le ragioni del riformismo italiano e non si sono sbarazzati ancora, o lo fanno con estrema lentezza, dei cascami e delle incrostazioni ideologiche buone solo alla salvaguardia di una oligarchia improduttiva.

lunedì 16 marzo 2009

A Terrasini si è celebrato la ricorrenza dell’appello Ai liberi e forti lanciato 90 anni fa dal prete di Caltagirone

La testimonianza di Don Luigi Sturzo al servizio del paese



Una lezione moderna, attuale, che arriva in un momento storico nel quale si ravvisa, di giorno in giorno, l’esigenza di una nuova rinascita etica e morale, per una nuova certezza dei diritti e dei doveri, per una ritrovata speranza nel lavoro, per una nuova esigenza di solidarietà tra gli uomini e i cittadini, per la ritrovata esigenza di riconfermare lo Stato democratico, così come lo abbiamo conosciuto negli ultimi 60 anni, tra alti e bassi, tra gioie e dolori, tra successi e insuccessi. La lezione di Don Sturzo, che aveva una visione limpida dell’impegno dei cattolici in politica, l’affermazione dei principi e dei valori del cattolicesimo sociale attraverso l’indiscutibile piattaforma democratica, è sempre più attuale. Un ritrovato messaggio analizzato - il 16 marzo scorso a Terrasini in un convegno organizzato da Ino Cardinale e coordinato dal dott. Vincenzo Morgante dal titolo: Per una nuova speranza. La testimonianza di Don Luigi Sturzo al servizio del paese - da autorevoli relatori come i Vescovi di Piazza Armerina e Monreale, Mons. Michele Pennisi e Mons. Salvatore Di Cristina, accanto al Sen. Calogero Mannino e con l’ausilio di un’intervista rilasciata dal sen. Giulio Andreotti. “Non si può – ha detto il Sen Andreotti – dividere l’uomo politico dall’uomo religioso, dai suoi ideali, dai suoi principi. La politica non è tecnica ma il mezzo attraverso il quale realizzare i fini cui si ispira”. I fini di Don Sturzo erano quelli declamati dalla dottrina sociale della Chiesa, la solidarietà tra gli uomini, la libertà di autodeterminarsi, come uomini e come istituzioni e la consapevolezza che lo Stato, l’Economia e la Società sono posti al servizio delle libertà degli uomini. Don Sturzo è stato capace, partendo da un piccolo paesino della dimenticata provincia siciliana, del profondo sud, di risolvere il conflitto aperto con la fine del potere temporale della Chiesa e restituire ai cattolici la libertà di impegnarsi in politica accettando e, anzi, accogliendo i valori dello Stato laico, interpretando la religione solo come l’ispirazione all’agire politico, non come dogma indiscusso. Sono questi i concetti ricorrenti che sono stati declamati negli interventi degli oratori, di fronte ad una platea attenta e numerosa, in un momento storico critico nel quale ogni certezza sembra dissolversi di fronte ad una crisi sociale, politica ed economica che sembra difficile da fermare.

mercoledì 11 marzo 2009

L'imperativo categorico e le cariche di Pisa

Qualche giorno fa è passata di straforo sui Tg e i giornali, la notizia che a Pisa ci sono stati scontri tra alcuni studenti e la polizia. Perché la polizia ha caricato gli studenti?
Dalle notizie che sono state date non si capisce molto bene. Pare che gli studenti volevano entrare in ateneo e assistere alla presentazione del libro scritto dall’ex Presidente del Senato Marcello Pera dal titolo,“Perché dobbiamo dirci cristiani”, e fare qualche domanda al Senatore. Magari criticarlo, fischiarlo se del caso. Non fosse altro che per l’imperativo categorico contenuto nel titolo. Per prevenire le contestazioni pare che l’ingresso agli studenti sia stato vietato. Sono, quindi, iniziate le proteste, grida, insulti e, alla fine, è stato acceso un fumogeno. Da quel momento sono partite le cariche della polizia in tenuta antisommossa. Fatale che qualcuno si sia fatto male. Nessuno vuole giustificare gli atti di violenza ma l’atteggiamento della polizia mi è sembrato esagerato. Perché vietare l’ingresso in ateneo agli studenti? Perché vietare l’esercizio della critica? Perché non misurarsi con chi la pensa diversamente? Non basta avere ragione, dice una massima attribuita all’On. Giulio Andreotti, bisogna che qualcuno te la riconosca. Una massima che Marcello Pera non vuol seguire. Non mi voglio unire al coro di chi dice che siamo sull’orlo di una nuova dittatura, o meglio, in un regime di democrazia autoritaria, ma convincetemi che non è così, perché troppe cose cominciano a dimostrare il contrario.



http://www.youtube.com/watch?v=lrtAKmnhDgw
http://rassegna.governo.it/testo.asp?d=32976406

domenica 8 marzo 2009

Carlo Lucarelli. "Se non si reagisce si è già morti di tante cose"

Carlo Lucarelli, più che giornalista, si dice scrittore. Dice di lui che è un divulgatore del lavoro che fanno i giornalisti, ottimi giornalisti, che raccolgono informazioni. “L’idea, la convinzione comune – dice Lucarelli intervistato in occasione di un recente incontro tenuto in un locale di Palermo – è che l’informazione non fa notizia. I media ci propinano ciò che fa notizia ma che non notizia non è”. Un campo minato quello dello stato dell’informazione in Italia. Per l’uomo di “Blu notte” il programma che l’ha reso famoso, i lettori non giudicano ciò che leggono e vedono ma dove lo leggono e dove vedono, su quali giornali, su quali televisioni. “Mi piacerebbe sentir parlare della crisi e della parte criminale del lavoro, della cronaca nera e della riflessione sulla cronaca nera”. Non tutto è perduto. Di fronte alla perdita di orizzonte, parte dell’opinione pubblica ha sete di informazione ed è informata molto più di quel che crediamo. “La mafia, l’economia criminale, non sono più fenomeni circoscritti a singole regioni d’Italia. Sono fenomeni dilaganti che si trovano ovunque – afferma l’uomo in blu – per questo motivo ogni anno a Casalecchio parliamo di fenomeni criminali, di etica, di bellezza, di legalità, tutte cose che potrebbero sembrare lontanissime da quel posto e invece sono molto vicine e sentite da molte persone che vengono a seguire quegli eventi, le discussioni e gli approfondimenti sui temi trattati. Segno che esiste il bisogno d’informazione”. Un messaggio di ottimismo, seppur condito dalle cattive notizie, dalla cronaca nera, dalle commistioni mafia-politica, dall'illegalità diffusa. Un ottimismo, o meglio un messaggio di speranza che per Carlo Lucarelli arriva dai giovani. “C’è la consapevolezza che non si può più aspettare – ci dice Carlo – non c’è più tempo e ciò che ieri si poteva rimandare a domani oggi non si può più e poi la speranza di un riscatto civile c’è perché senza speranza si è già morti. Morti di tante cose, di mancanza di lavoro, di assenza di etica, di legalità”. Si riparte dai ragazzi, dalla loro riscossa civile ed è “bello pensare – conclude Lucarelli con la sua voce suadente che non lascia spazio alle ambiguità, che questa partenza dei giovani si porti dietro anche quella dei vecchi che si agganciano a questo carro che si muove”.








sabato 28 febbraio 2009

Condannata la Telecom

Ancora un’altra sentenza di condanna nei confronti della Telecom Italia. Questa volta è stato il Giudice di Pace di Cefalù, dott.ssa Rosalia Quartararo, a garantire la tutela dell’utente vessato da continue ed illegittime richieste economiche da parte del gestore telefonico, per presunte chiamate inoltrate a numerazioni speciali. La Telecom Italia s.p.a. è stata citata in giudizio da un consumatore, G.P. residente a Finale di Pollina (PA), difeso dall’avv. Alessandra Castellino, dello Studio Legale Fiorino Castellino di Palermo. L’utente ricorrente lamentava l’irregolarità di una fattura di €. 353,00 corrispondente a telefonate - mai effettuate - a numerazioni speciali. Il gestore, da parte sua, non aveva escluso che il traffico addebitato all’utente fosse il frutto di un’azione fraudolenta dei dialer, ma nonostante ciò lo aveva lo stesso ritenuto negligente affermando che ogni abbonato deve vigilare sull’uso della linea telefonica ed adottare tutti i possibili e necessari accorgimenti volti a prevenire l’uso abnorme da parte di terzi del servizio di internet. Il Giudice di Pace di Cefalù, con la sentenza emessa il 5/10/2008, ha rilevato che la Telecom ha adottato un comportamento “contrario a buona fede e correttezza contrattuale”, in quanto era onere del gestore, una volta verificato l’andamento anomalo dell’utenza, avvisare solertemente l’utente al fine di preservare gli interessi di quest’ultimo e, oltre a riconoscere le ragioni dell’utente, ha condannato il gestore telefonico convenuto a rifondere parte attrice delle spese legali sostenute da quest’ultima per ricorrere in giudizio. Secondo l’Avv. Alessandra Castellino, del foro di Palermo, “Si tratta di una sentenza rilevante che costituisce un punto di riferimento per tutti quegli utenti vessati e truffati quotidianamente dai gestori telefonici che, spesso, non avendo né tempo né denaro per contrastare le richieste economiche del gestore telefonico si vedono costretti a pagare. La Telecom - così come gli altri gestori telefonici - ha da sempre approfittato di tale situazione per vessare gli utenti, con continue minacce di pagamento e sospendendo illegittimamente la linea telefonica”.

venerdì 27 febbraio 2009

Si chiude il capitolo della mozione di sfiducia a Terrasini

Dieci voti a favore e sette e resta irrisolto il conflitto tra Sindaco e Consiglio comunale

Con 10 voti a favore e sette contrari si è chiuso a Terrasini il capitolo mozione di sfiducia. Assenti giustificati la consigliera Angela Viviano e Saverio Davì, a favore della mozione. Un poco meno giustificato Giuseppe Militello che, a causa dell’ora tarda, ha lasciato l’aula. L’unico momento di tensione c’è stato quando il consigliere Gianfranco Puccio ha puntato il dito contro il sindaco Consiglio. Puccio gli ricordava con virulenza gli 87 voti di scarto sul suo contendente Anselmo, grazie ai quali il dott. Consiglio ha conquistato la poltrona di primo cittadino. Voti ottenuti grazie all’appoggio pattuito con la coalizione Cammillleri. Il sindaco non ha gradito il richiamo e le pesanti parole usate da Puccio e si è alzato dalla sedia seguito dai suoi sostenitori. La sensazione di scoramento, per una politica che si scontra e si arena sul muro di un conflitto istituzionale che resta intatto e non risolto, è grande. Molte cose di una certa gravità sono state dette durante la seduta ma il pubblico è rimasto indifferente, come se fosse ormai assuefatto a tutto. Tutto si può fare e tutto può essere giustificato, come se questo non lo riguardasse. Smentire ciò che si è detto pochi giorni prima. Giocare su due tavoli e ammettere apertamente questa condotta usata per raccogliere il massimo risultato, con il minimo investimento. Sostenere che questo gioco ambiguo sia servito per arginare e tenere lontani i vecchi politici, sempre in agguato, mentre i nuovi hanno imparato bene la lezione e l’hanno eseguita alla perfezione. Un rimestare delle carte in tavola, per cui non si sa più dov’è la destra e dov’è la sinistra, cosa fa la mano destra e cosa la sinistra. È stato fatto notare da molti consiglieri che il paese è inchiodato al conflitto irrisolto tra Sindaco e Consiglio comunale e lo stesso primo cittadino se ne accorge se auspica, come sempre ha fatto in questi mesi, la collaborazione dei consiglieri. Una collaborazione che però è difficile si possa concretizzare, quando ci si accorge che si fa sul serio e le nomine assessoriali sono usate per scongiurare la mozione di sfiducia. Non per nulla gli otto consiglieri della minoranza del sindaco sono stati eletti in otto liste diverse. C’è un progetto che li accomuna? Loro lo rivendicano. E rivendicano con forza la loro ribellione a chi li vuole soggiogare politicamente. Ma sono argomenti deboli. Noi non sappiamo se questi tre consiglieri che prima hanno, almeno formalmente, condiviso il percorso che portava dritto alla sfiducia e poi hanno fatto dietro front avrebbero comunque tenuto la stessa posizione. Il dubbio è lecito, perché la stessa mattina della presentazione della mozione sono stati licenziati tre assessori che hanno lavorato bene per nominarne altri, purtroppo tutti strettamente legati agli interessi e alle cointeressenze, anche parentali, di chi fino all’altro ieri contestava con estrema virulenza il sindaco e oggi si scopre fulminato sulla via della gestione diretta del potere. Per far che? Il grande assente dal dibattito di ieri è stato proprio il progetto che dovrebbe tenere insieme l’accozzaglia, com’è stata definita. Più di tutto desta meraviglia l’atteggiamento del sindaco, al quale nessuno vuole negare le sue buone intenzioni, ma resta incontestabile il fatto che tra il coraggio di affrontare a viso aperto una strada lastricata da vecchi schematismi politici, ma che avrebbe sciolto il conflitto e avrebbe reso tutto più chiaro sceglie, invece, la via del compromesso riconfermando il problema e rendendo tutto nebuloso. Troppi i dubbi e le ombre. Cosa vuol dire la frase del documento sottoscritto dai tre consiglieri comunali e dal sindaco che dice, “eccellenze da premiare secondo il merito”. Forse fino ad oggi il sindaco non ha premiato le eccellenze? E come può essere se lui non perde occasione per dire che la sua è un’ottima amministrazione? Anche altri sindaci, com’è stato ricordato ieri sera, si sono sempre scontrati con le pretese e le arroganze dei singoli consiglieri comunali, ma i predecessori del dott. Consiglio si sono sempre mossi all’interno delle logiche di gruppi politici, di partiti e se i partiti, il Pdl, l’Mpa, l’Udc, in questa storia ci hanno messo la faccia non deve essere stato per caso. Sono stati gabbati dai singoli che però anche loro auspicano, nei loro interventi, la necessità di allargare la maggioranza perché sanno che è impossibile amministrare senza. Ma se dopo ieri sera i 12 resteranno tali, c’è da giurare che quella di ieri è stata solo una battaglia, vinta dal sindaco, della guerra, ancora tutta da disputare, contro il consiglio comunale. Se invece, come sta già accadendo, ricomincerà il gioco della rincorsa al consigliere, si aprirà il solito mercimonio di questi mesi e il sindaco ricadrà nella spirale dei ricatti e dei veti incrociati. In ambedue i casi la paralisi politica e amministrativa è assicurata.

lunedì 16 febbraio 2009

Proverò ad essere la voce fuori dal coro da Terrasini e non solo. Una fonte d'informazione. Ci provo. Per il momento ho appena finito di creare il blog e quindi, un pò di pazienza devo capire come funziona