venerdì 19 dicembre 2014
Protesta continua contro il petrolio. Tra le azioni anche il referendum consultivo.
Al sit-in davanti Palazzo D'Orleans a Palermo contro le trivelle nel Canale, non c'era la maggioranza silenziosa dei siciliani ma tutte le Associazioni Ambientaliste, l'Anci, un esponente del Pd, alcuni del M5S. Erano in compagnia di un nutrito drappello di Sindaci delle zone interessate e di giornalisti, con l'incarico di dar voce a chi dice no alla volontà della politica nazionale cui quella regionale sembra lasciarsi piegare.
FAI, Greenpeace, Legambiente, Marevivo, Touring Club Italiano, WWF, l'Anci Sicilia con Leoluca Orlando, l'On.Ferrandelli, l'On. Cancelleri, l'On. Trizzino, alcuni Sindaci che hanno simbolicamente riconsegnato le Vele blu, si sono rivolti al Governatore Crocetta, affinché guidi la Sicilia sulla via del ricorso alla Corte Costituzionale contro il cosiddetto Decreto Sblocca Italia del Governo nazionale, indicata dalle regioni Abruzzo, Campania, Lombardia, Marche, Puglia e Veneto. Finora si sono raccolti solo i balbettii del Presidente dell'Assemblea Regionale Ardizzone e il silenzio, assordante questa volta, del resto della compagine parlamentare all'Ars di maggioranza e opposizione. Ma perché è ormai partita la mobilitazione per arginare la Marea
Nera nel Canale?
I motivi di tutela ambientale sono noti, l'inversione di tendenza e la contraddizione rispetto allo sfruttamento delle risorse naturali, turistiche, ambientali piuttosto che di quelle petrolifere anche. Incombe il ricordo della catastrofe ambientale del golfo del Messico, le preoccupazioni relative all'instabilità geologica del Canale, nel quale insistono diverse formazioni vulcaniche. Ma, oltre a tutto questo, l'eterogeneità del fronte (nazionale) anti trivelle è determinato dallo scippo legislativo operato dal Governo di Roma nei confronti delle regioni. "Attualmente - dice l'On. Cancelleri - la Sicilia ha concesso quattro autorizzazioni nel Canale e due a terra. Ma il vero problema è che, da oggi, sarà solo il Ministero a decidere le sorti dei territori, senza alcuna salvaguardia ambientale e a prescindere dalla volontà delle regioni e delle politiche che queste vorranno attuare". E c'è un'altra domanda da fare. Perché questa improvvisa e rinnovata corsa al petrolio? "In Italia - continua Cancelleri - c'è la più bassa tassazione del mondo. Una vera pacchia per i petrolieri. La percentuale sulle royalty in Sicilia era del 10%. Adesso, con un emendamento M5S, è del 20%. Ma è ancora poco. In Svezia la tassazione sul fatturato è decisamente più alta e le risorse ottenute sono canalizzate alla valorizzazione e tutela ambientale. In Italia, invece, rischiamo solo la svendita del nostro patrimonio naturale ai petrolieri".
Resta da capire cosa pensa la maggioranza silenziosa, specie in tempi di crisi. Potremmo saperlo presto. Oltre al ricorso alla Corte Costituzionale che prima o poi verrà formalizzato da qualche Regione, in pole c'è l'Abruzzo, l'altra strada da percorrere è la referendaria. Un referendum abrogativo dell'art. 38 del Ddl Sblocca Italia potrebbe essere chiesto da 5 Regioni. Ma in Sicilia è all'ordine del giorno anche una legge voto del M5S, per chiedere il referendum consultivo. Per far decidere ai siciliani le sorti della Sicilia bastano, si fa per dire, 46 voti in Assemblea Regionale e sapremo cosa pensa la maggioranza silenziosa.
giovedì 11 dicembre 2014
Se non si ferma la corsa al petrolio potremmo presto avere una costellazione di pozzi nel Canale
Ci sono almeno due strade da percorre per tentare di fermare la corsa al petrolio in Sicilia e non solo. La prima è il ricorso alla Corte Costituzionale contro l'articolo 38 del Ddl Sblocca Italia, con il quale il Governo nazionale sembra violare le prerogative costituzionali riconosciute dall'art. 117 della Costituzione. La seconda è quella del referendum popolare. Formalmente ancora nessuna regione italiana ha inoltrato il ricorso alla Corte ma basta che una lo faccia e la Corte l'accolga, e vale per tutte. Le Regioni interessate, compresa la Sicilia, hanno deliberato atti formali con i quali impegnano i rispettivi Governi ad inoltrarlo. Il Governatore della Lombardia, Roberto Maroni, ha già manifestato con una lettera ai responsabili di Greenpeace la volontà di ricorrere. Per intraprendere quella del referendum abrogativo, invece, occorre che la richiesta sia sottoscritta da almeno cinque regioni. In Commissione Ambiente all'Ars è già stata approvata una mozione per il Referendum ma per proseguire occorre il voto dell'aula.
Attualmente, dunque, il Ministero, sentita la Regione interessata, può rilasciare le autorizzazioni per permettere alle società petrolifere che ne hanno fatto richiesta, di iniziare l'attività di ricerca finalizzata all'estrazione di greggio. Nel Canale di Sicilia sono attualmente attive 4 piattaforme petrolifere, la Prezioso, la Perla, la Vega e la Gela.
Altre 16 richieste sono state inoltrate per essere autorizzate. Per avere chiara la situazione, una sola di queste prevede otto pozzi. In breve il Canale di Sicilia potrebbe essere costellato da piattaforme petrolifere. Altri aspetti sono ancora ambigui. Il Ministero, sentita la Regione interessata, autorizza le attività di ricerca ed estrattive. E se la Regione dice no? A quanto sembra, gli impianti potrebbero essere considerati di rilevanza strategica.
A quel punto, non è certo il parere di una Regione o la Valutazione di Impatto Ambientale che ferma la realizzazione di un impianto di estrazione di greggio. Quindi, supposto che il Governo non tornerà indietro, la strada da percorre è quella dell'abrogazione dell'art. 38 del Ddl Sblocca Italia. Infine, perché sono considerati pericolosi i pozzi nel Canale di Sicilia? In fin dei conti quattro ci sono già. L'attività estrattiva del pozzo in mare è analoga a quella di un pozzo a terra. In Basilicata riscontrano seri problemi con lo smaltimento dei fanghi e le acque utilizzate per l'estrazione, che vengono trattate e poi riversate in mare. Ma alcune falde acquifere sono risultate inquinate e i livelli di radiazione e di concentrazione di sostanze tossiche nelle acque smaltite, sono risultate più alte della norma. Insomma, estrarre petrolio inquina. E la stessa cosa accade con i pozzi off-shore nel Canale di Sicilia, senza considerare che la loro gestione è molto più complessa di quella dei pozzi a terra.
mercoledì 10 dicembre 2014
Artisti contro l'idea dominante di dover fare di necessità impossibile virtù. No alle trivellazioni petrolifere in Sicilia.
Mobilitazione e voglia di far sentire la voce di chi si dichiara contro la ricerca e lo sfruttamento petrolifero, specie nel Canale di Sicilia. Una mobilitazione che si manifesta attraverso il web, che non vuole essere politicizzata, che vuole opporsi alle dinamiche finanziarie di un mercato internazionale che i territori sembrerebbe possano per forza soltanto subire.
Il no alle trivelle arriva dal mondo dello spettacolo e dell'arte. I primi sono stati Ficarra e Picone. I nostri due attori, con un'ironico video, si chiedevano se non fosse uno scherzo di qualcuno pensare di perforare il mare di Sicilia in cerca di greggio.
Adesso è la volta di un gruppo di artisti che fa capo ad Organica_London, uno strumento web animato da Francesco Ferla, architetto Graphic designer che risiede a Londra, il quale ha promosso una iniziativa che si intitola: "Artisti contro le trivellazioni petrolifere in Sicilia".
Sulle pagina F/B di Organica _London si stanno raccogliendo lavori per immagini, suoni e parole con le quali si rende evidente il rischio al quale si va incontro con il via libera alle trivellazioni, in una terra che è sempre indicata come quella del sole, delle eccellenze eno-gastronomiche, patria delle energie alternative e rispetto alla quale, dalla tolda dell'assessorato al turismo, si invoca la politica del turismo "emozionale". Contraddizioni insanabili e incomprensibili e per capirle basta volgere lo sguardo a quelle zone fatte oggetto di sfruttamento industriale in Sicilia, Gela, Milazzo, Priolo per poi imbarcarsi per i paradisi mediterranei siculi, Pantelleria, Favignana o Lampedusa.
In pochi giorni sono più di trenta i lavori grafici postati da tutta la Sicilia e già pubblicati. La forza delle immagini è molto evocativa e a questa si accompagnano testi e musiche proposte da scrittori e compositori dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia e del Conservatorio di Palermo. L'iniziativa non è pregiudizialmente contro le tecnologie ma parte dalla elementare constatazione che, per l'appunto, la Sicilia possiede altre risorse di tipo culturale e naturale da impiegare per il proprio progresso e fonti energetiche più adatte del petrolio alle quali attingere. Il messaggio di Organica_London è rivolto a tutti coloro i quali, non solo siciliani, sentono di voler produrre un'opera contro l'idea dominante di dover stupidamente fare di necessità impossibile virtù.
Il no alle trivelle arriva dal mondo dello spettacolo e dell'arte. I primi sono stati Ficarra e Picone. I nostri due attori, con un'ironico video, si chiedevano se non fosse uno scherzo di qualcuno pensare di perforare il mare di Sicilia in cerca di greggio.
Adesso è la volta di un gruppo di artisti che fa capo ad Organica_London, uno strumento web animato da Francesco Ferla, architetto Graphic designer che risiede a Londra, il quale ha promosso una iniziativa che si intitola: "Artisti contro le trivellazioni petrolifere in Sicilia".
Sulle pagina F/B di Organica _London si stanno raccogliendo lavori per immagini, suoni e parole con le quali si rende evidente il rischio al quale si va incontro con il via libera alle trivellazioni, in una terra che è sempre indicata come quella del sole, delle eccellenze eno-gastronomiche, patria delle energie alternative e rispetto alla quale, dalla tolda dell'assessorato al turismo, si invoca la politica del turismo "emozionale". Contraddizioni insanabili e incomprensibili e per capirle basta volgere lo sguardo a quelle zone fatte oggetto di sfruttamento industriale in Sicilia, Gela, Milazzo, Priolo per poi imbarcarsi per i paradisi mediterranei siculi, Pantelleria, Favignana o Lampedusa.
In pochi giorni sono più di trenta i lavori grafici postati da tutta la Sicilia e già pubblicati. La forza delle immagini è molto evocativa e a questa si accompagnano testi e musiche proposte da scrittori e compositori dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia e del Conservatorio di Palermo. L'iniziativa non è pregiudizialmente contro le tecnologie ma parte dalla elementare constatazione che, per l'appunto, la Sicilia possiede altre risorse di tipo culturale e naturale da impiegare per il proprio progresso e fonti energetiche più adatte del petrolio alle quali attingere. Il messaggio di Organica_London è rivolto a tutti coloro i quali, non solo siciliani, sentono di voler produrre un'opera contro l'idea dominante di dover stupidamente fare di necessità impossibile virtù.
lunedì 8 dicembre 2014
Opportunità e prospettive per dire no al petrolio anche in Sicilia
Trivelle e petrolio? No grazie. Lo hanno già detto la Lombardia la Campania il Molise, le Marche, l'Abruzzo. I consigli regionali e i Governatori delle regioni hanno già scelto di ricorrere alla Corte Costituzionale contro l'art. 38 del ddl del governo di Roma detto Sblocca Italia. La norma espropria le prerogative regionali dettate dall'art. 117 della Costituzione, che assegna alle Regioni la potestà legislativa su produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia.
In Sicilia è spaccatura tra i no e i si. Dicono no Greenpeace, WWF e Legambiente insieme a LIPU Birdlife Italia, Italia Nostra, Touring Club Italia, Legacoop Pesca Sicilia, ANCI Sicilia e i comuni di Licata, Ragusa, Scicli, Palma di Montechiaro e Santa Croce Camerina. Insieme hanno inoltrato ricorso al TAR del Lazio contro il decreto 149/14, emanato dal Ministro dell’Ambiente, che sancisce la compatibilità ambientale del progetto “Off-shore Ibleo” di ENI e che prevede otto pozzi, una piattaforma e vari gasdotti al largo della costa tra Gela e Licata. Le richieste per il rilascio della VIA (Valutazione di Impatto Ambientale) del Ministero nell'area del Canale di Sicilia sono almeno 14. I Comuni di Salina e San Vito lo Capo hanno invece deliberato la richiesta formale al Presidente Crocetta, di procedere all'impugnazione dell'articolo 38 del Ddl sblocca italia.
Dicono no un pezzettino del Pd, solo l'On. Ferrandelli, e il M5S che in Commissione Territorio Ambiente dell'Assemblea Regionale hanno detto si per far arrivare in aula la richiesta di voto per il referendum abrogativo contro l'art. 38 del Ddl Sblocca Italia. Ha detto no il Soprintendente del Mare Sebastiano Tusa, il quale afferma che le preoccupazioni sono rivolte già alla fase di ricerca degli idrocarburi. Infatti, la tecnica consiste nello sparare a 140 atmosfere aria e acqua calda in profondità. Praticamente una bomba che ha effetti nefasti per le biodiversità che popolano il mare del Canale di Sicilia, tra le altre la balenottera comune, il tonno rosso, il gambero.
Dicono di no da anni Enzo Maiorca e la figlia Patrizia, contro il progetto di prospezione e ricerca di idrocarburi da parte della compagnia petrolifera Schlumberger Italiana S.p.A, al largo di Pantelleria, Malta e capo Passero. Hanno detto no già dallo scorso anno i sindaci di Pantelleria e Lampedusa, che vogliono istituire l'area protetta per il loro mare al posto delle trivelle.
Chi dice si di fronte al miraggio dell'oro nero pensa di far soldi facili. Dice si il Governatore Crocetta, occupazione e royalty, ma numeri e proiezioni lo smentiscono. Dice si il Presidente dell'Ars Ardizzone, che ha chiamato a raccolta i deputati nazionali eletti in Sicilia per esortarli a difendere le prerogative statutarie. Vada per l'estrazione petrolifera a patto che le risorse restino qui. Argomento debole. Sono 60 anni che la Sicilia rivendica allo Stato l'applicazione dell'art. 38 dello Statuto siciliano, senza successo. Ha detto si Maurizio Landini della FIOM, secondo il quale con le moderne tecnologie si può estrarre petrolio in sicurezza ma è del 4 giugno 2013 questa notizia: Gela, fuoriuscita di petrolio dall’Eni. Aperta inchiesta per disastro colposo. Quest'altra è del 6 dicembre 2014: Un terremoto di magnitudo 3 è avvenuto alle ore 06:14:43 di questa mattina nel Mar di Sicilia.
Ha detto ni, un colpo al cerchio, uno alla botte, il Coordinatore regionale di Ncd, On. Francesco Cascio, secondo il quale: "La questione va affrontata avviando un ragionamento serio che affranchi il confronto politico dalle guerre ideologiche e entri nel merito della questione per rinvenire una soluzione che concili le diverse esigenze in campo".
Non c'è nessuna guerra ideologica. Solo ragioni di opportunità e prospettive inducono a dire No al petrolio.
Immagini: Francesco Ferla
Fonti
www.loraquotidiano.it 3 dicembre 2014
www.palermo.repubblica.it 13 novembre 2014
www.ilfattoquotidiano.it 4 giugno 2013
www.greenpeace.it
In Sicilia è spaccatura tra i no e i si. Dicono no Greenpeace, WWF e Legambiente insieme a LIPU Birdlife Italia, Italia Nostra, Touring Club Italia, Legacoop Pesca Sicilia, ANCI Sicilia e i comuni di Licata, Ragusa, Scicli, Palma di Montechiaro e Santa Croce Camerina. Insieme hanno inoltrato ricorso al TAR del Lazio contro il decreto 149/14, emanato dal Ministro dell’Ambiente, che sancisce la compatibilità ambientale del progetto “Off-shore Ibleo” di ENI e che prevede otto pozzi, una piattaforma e vari gasdotti al largo della costa tra Gela e Licata. Le richieste per il rilascio della VIA (Valutazione di Impatto Ambientale) del Ministero nell'area del Canale di Sicilia sono almeno 14. I Comuni di Salina e San Vito lo Capo hanno invece deliberato la richiesta formale al Presidente Crocetta, di procedere all'impugnazione dell'articolo 38 del Ddl sblocca italia.
Dicono no un pezzettino del Pd, solo l'On. Ferrandelli, e il M5S che in Commissione Territorio Ambiente dell'Assemblea Regionale hanno detto si per far arrivare in aula la richiesta di voto per il referendum abrogativo contro l'art. 38 del Ddl Sblocca Italia. Ha detto no il Soprintendente del Mare Sebastiano Tusa, il quale afferma che le preoccupazioni sono rivolte già alla fase di ricerca degli idrocarburi. Infatti, la tecnica consiste nello sparare a 140 atmosfere aria e acqua calda in profondità. Praticamente una bomba che ha effetti nefasti per le biodiversità che popolano il mare del Canale di Sicilia, tra le altre la balenottera comune, il tonno rosso, il gambero.
Dicono di no da anni Enzo Maiorca e la figlia Patrizia, contro il progetto di prospezione e ricerca di idrocarburi da parte della compagnia petrolifera Schlumberger Italiana S.p.A, al largo di Pantelleria, Malta e capo Passero. Hanno detto no già dallo scorso anno i sindaci di Pantelleria e Lampedusa, che vogliono istituire l'area protetta per il loro mare al posto delle trivelle.
Chi dice si di fronte al miraggio dell'oro nero pensa di far soldi facili. Dice si il Governatore Crocetta, occupazione e royalty, ma numeri e proiezioni lo smentiscono. Dice si il Presidente dell'Ars Ardizzone, che ha chiamato a raccolta i deputati nazionali eletti in Sicilia per esortarli a difendere le prerogative statutarie. Vada per l'estrazione petrolifera a patto che le risorse restino qui. Argomento debole. Sono 60 anni che la Sicilia rivendica allo Stato l'applicazione dell'art. 38 dello Statuto siciliano, senza successo. Ha detto si Maurizio Landini della FIOM, secondo il quale con le moderne tecnologie si può estrarre petrolio in sicurezza ma è del 4 giugno 2013 questa notizia: Gela, fuoriuscita di petrolio dall’Eni. Aperta inchiesta per disastro colposo. Quest'altra è del 6 dicembre 2014: Un terremoto di magnitudo 3 è avvenuto alle ore 06:14:43 di questa mattina nel Mar di Sicilia.
Ha detto ni, un colpo al cerchio, uno alla botte, il Coordinatore regionale di Ncd, On. Francesco Cascio, secondo il quale: "La questione va affrontata avviando un ragionamento serio che affranchi il confronto politico dalle guerre ideologiche e entri nel merito della questione per rinvenire una soluzione che concili le diverse esigenze in campo".
Non c'è nessuna guerra ideologica. Solo ragioni di opportunità e prospettive inducono a dire No al petrolio.
Immagini: Francesco Ferla
Fonti
www.loraquotidiano.it 3 dicembre 2014
www.palermo.repubblica.it 13 novembre 2014
www.ilfattoquotidiano.it 4 giugno 2013
www.greenpeace.it
mercoledì 3 dicembre 2014
La caccia all'Oro Nero è un po' come quella ad Ottobre Rosso
Trivelliamo per andare ad estrarre più petrolio, indispensabile per sostenere il sistema industriale europeo della raffinazione in crisi ormai da qualche anno. Coloro i quali si orientano poco nel labirinto delle parole quali mercato, finanza, poteri forti, sindacato ecc, con la vicenda delle trivellazione tocca con mano cosa significano veramente e quale incidenza hanno nelle nostre vite.
Già da qualche anno i petrolieri dell'emisfero occidentale denunciano la crisi del settore della raffinazione e per l'Europa il rischio di dipendere dalle importazioni dei prodotti raffinati, che è giudicato più grave della dipendenza dal petrolio. Il trend del prezzo del greggio al barile è in discesa da qualche anno, da 145 dollari dei tempi d'oro si è passati alla massima oscillazione in negativo di 70, mentre dal 2008 per effetto della crisi e della maggiore efficienza dei propulsori per i mezzi a trazione, i consumi di idrocarburi sono calati sensibilmente. A prima vista, a questa situazione potrebbe porre riparo l'Opec, l'organizzazione dei paesi produttori. Basterebbe che questi tagliassero l'offerta, per mettere in crisi la domanda e far balzare in alto il prezzo del greggio al barile, guadagnando di più. Ma non è così semplice. La produzione di petrolio è aumentata un po' ovunque nel mondo, Stati Uniti, Canada, Russia, e l'Opec non taglia la produzione per non perdere e anzi sostenere il consumo dei mercati asiatici in piena espansione, i quali hanno impianti di raffinazione molto più competitivi di quelli europei e americani e sottoposti ad una legislazione ambientale più blanda della nostra. Per bloccare la concorrenza e colmare lo svantaggio competitivo, le multinazionali del greggio dell'emisfero occidentale puntano a una legislazione ambientale e burocratica meno vincolante e a sostenere i propri impianti di raffinazione con l'aumento della produzione di petrolio estratto dal sottosuolo di casa. Lo hanno fatto negli Stati Uniti, con lo sfruttamento del petrolio di scisto e lo stanno facendo a casa nostra con l'aumento delle trivelle nel Canale di Sicilia. Ha ragione Rosario Crocetta quando dice che Assomineraria si impegna a mantenere gli attuali livelli di occupazione, però non è un regalo alla Sicilia ma un obiettivo strategico delle compagnie petrolifere che da noi hanno i minori costi di royalty, solo il 4% per l'estrazione in mare.
L'Assessore Giosuè Marino, in un'audizione del febbraio 2012 in Commissione Attività Produttive alla Camera, dichiarava che: rispetto all'andamento dei quattro siti siciliani, la raffineria di Gela, l'impianto Isab-Esso nella zona di Priolo-Melilli-Augusta e la raffineria di Milazzo che fa riferimento a ENI, più il polo petrolchimico di Ragusa con una forte caratterizzazione estrattiva in considerazione dell'ubicazione in sito di molti giacimenti minerari di idrocarburi, non si registrano flessioni dalla produzione se non con riferimento alla raffineria di Gela - e in effetti, l'ultimo allarme chiusura è scattato a luglio scorso.
Attualmente, il 95% dell'energia per il trasporto deriva dal petrolio, mentre nel 2050 solo il 50% della domanda legata al consumo sarà soddisfatto da fonti fossili, il resto sarà appannaggio del biofull. La Sicilia è chiamata ad un sacrificio ambientale necessario per il bene economico del comparto. E non mancano implicazioni geopolitiche. Mantenere alta la produzione e bassi i prezzi colpisce indirettamente la Russia e l'Iran, perché incassano meno dalla vendita della loro produzione petrolifera, già colpita dagli embarghi e sanzioni applicati all'Iran per contenere il suo programma nucleare e alla Russia per le interferenze nella crisi Ucraina.
Curiosamente è una condizione simile alla stessa contro la quale si scontrò a suo tempo Enrico Mattei. Se mai la storia volesse o dovesse insegnarci qualcosa.
Fonti: www.ilpost.it (24 ottobre - 29 Novembre)
www.camera.it (doc. XVII n. 22)
Già da qualche anno i petrolieri dell'emisfero occidentale denunciano la crisi del settore della raffinazione e per l'Europa il rischio di dipendere dalle importazioni dei prodotti raffinati, che è giudicato più grave della dipendenza dal petrolio. Il trend del prezzo del greggio al barile è in discesa da qualche anno, da 145 dollari dei tempi d'oro si è passati alla massima oscillazione in negativo di 70, mentre dal 2008 per effetto della crisi e della maggiore efficienza dei propulsori per i mezzi a trazione, i consumi di idrocarburi sono calati sensibilmente. A prima vista, a questa situazione potrebbe porre riparo l'Opec, l'organizzazione dei paesi produttori. Basterebbe che questi tagliassero l'offerta, per mettere in crisi la domanda e far balzare in alto il prezzo del greggio al barile, guadagnando di più. Ma non è così semplice. La produzione di petrolio è aumentata un po' ovunque nel mondo, Stati Uniti, Canada, Russia, e l'Opec non taglia la produzione per non perdere e anzi sostenere il consumo dei mercati asiatici in piena espansione, i quali hanno impianti di raffinazione molto più competitivi di quelli europei e americani e sottoposti ad una legislazione ambientale più blanda della nostra. Per bloccare la concorrenza e colmare lo svantaggio competitivo, le multinazionali del greggio dell'emisfero occidentale puntano a una legislazione ambientale e burocratica meno vincolante e a sostenere i propri impianti di raffinazione con l'aumento della produzione di petrolio estratto dal sottosuolo di casa. Lo hanno fatto negli Stati Uniti, con lo sfruttamento del petrolio di scisto e lo stanno facendo a casa nostra con l'aumento delle trivelle nel Canale di Sicilia. Ha ragione Rosario Crocetta quando dice che Assomineraria si impegna a mantenere gli attuali livelli di occupazione, però non è un regalo alla Sicilia ma un obiettivo strategico delle compagnie petrolifere che da noi hanno i minori costi di royalty, solo il 4% per l'estrazione in mare.
L'Assessore Giosuè Marino, in un'audizione del febbraio 2012 in Commissione Attività Produttive alla Camera, dichiarava che: rispetto all'andamento dei quattro siti siciliani, la raffineria di Gela, l'impianto Isab-Esso nella zona di Priolo-Melilli-Augusta e la raffineria di Milazzo che fa riferimento a ENI, più il polo petrolchimico di Ragusa con una forte caratterizzazione estrattiva in considerazione dell'ubicazione in sito di molti giacimenti minerari di idrocarburi, non si registrano flessioni dalla produzione se non con riferimento alla raffineria di Gela - e in effetti, l'ultimo allarme chiusura è scattato a luglio scorso.
Attualmente, il 95% dell'energia per il trasporto deriva dal petrolio, mentre nel 2050 solo il 50% della domanda legata al consumo sarà soddisfatto da fonti fossili, il resto sarà appannaggio del biofull. La Sicilia è chiamata ad un sacrificio ambientale necessario per il bene economico del comparto. E non mancano implicazioni geopolitiche. Mantenere alta la produzione e bassi i prezzi colpisce indirettamente la Russia e l'Iran, perché incassano meno dalla vendita della loro produzione petrolifera, già colpita dagli embarghi e sanzioni applicati all'Iran per contenere il suo programma nucleare e alla Russia per le interferenze nella crisi Ucraina.
Curiosamente è una condizione simile alla stessa contro la quale si scontrò a suo tempo Enrico Mattei. Se mai la storia volesse o dovesse insegnarci qualcosa.
Fonti: www.ilpost.it (24 ottobre - 29 Novembre)
www.camera.it (doc. XVII n. 22)
lunedì 1 dicembre 2014
Le attività estrattive nel Canale di Sicilia non sono convenienti
Il problema delle trivellazione non è solo siciliano. Da anni ormai, ciò che ne deriva è discusso e affrontato in Basilicata. Si stima che la Regione Basilicata, che conta 574.505 abitanti, riceva 500mln€ di royalty ogni due anni. Ogni anno le rimesse, davvero tante, sono destinate a finanziare le spese sanitarie, la spesa corrente della Regione e l'Università. Ma non sono rose e fiori, tutt'altro.
La Basilicata, come la Sicilia, è zona Obiettivo convergenza (ex obiettivo 1), per non aver conseguito una crescita del Pil tale da consentire alla regione di portarsi fuori dalla fascia delle aree sottosviluppate, nonostante le previsioni. L'Europa decide in base ai dati statistici che dicono come il prodotto interno lordo lucano non solo non sia cresciuto ma addirittura sia tornato a livelli simili a quelli del 2001. La scorsa settimana a Palermo, Maurizio Landini, a capo della manifestazione dei metalmeccanici, ha dichiarato che grazie alle moderne tecnologie le trivellazione nel Canale di Sicilia si possono fare. Le sue parole sono il segno tangibile del disorientamento e perdita di obiettivi a sinistra.
Infatti, in Basilicata, il problema ambientale maggiore è legato alla riconversione delle acque utilizzate per l'estrazione del greggio. Per aumentare la portata del pozzo, l'acqua preventivamente trattata è introdotta a pressione per agevolare la fuoriuscita del greggio. Poi viene separata dal greggio estratto e trasportata in appositi impianti di trattamento e, infine, smaltita nei fiumi e in mare. Solo che i dati inquinanti delle radiazioni contenute in queste acque e degli additivi chimici con i quali è trattata prima di introdurla a pressione dentro il pozzo, sono superiori alla media.
L'attività estrattiva ha distrutto il tessuto delle micro-imprese agricole della Basilicata e in 20 anni, 24.000 P.I. legate al comparto hanno cessato di esistere.
Il Comune di Viggiano che non arriva nemmeno a 4000 abitanti, riceve in media 11mln€ all'anno di royalty. Un Comune siciliano di 12.000 abitanti ha, in media, un bilancio di 15mln€.
Quello che sta avvenendo in Sicilia e nel Canale potrebbe avere le stesse ripercussioni ed essere grave tanto quanto quello che accade in Basilicata, per di più ricevendo meno.
Le attività estrattive sono molto convenienti in Italia perché è il paese nel quale si paga la più bassa percentuale di royalty, il 4% del ricavato per le attività estrattive in mare e il 10% a terra.
La vicenda è attualmente discussa in Parlamento regionale attraverso l'attività di informazione di alcuni onorevoli e della commissione preposta, che però è andata deserta per due volte.
La prossima seduta è prevista per martedì 2 dicembre.
Sul fronte della Società civile, numerose organizzazione ambientaliste hanno già denunciato la politica sciagurata legata alle attività estrattive, insieme all'organizzazione di rappresentanza dei Comuni, l'Anci Sicilia, più i Comuni dei territori interessati, specie le isole, con a capo Pantelleria.
venerdì 28 novembre 2014
La contraddizione sanabile tra sviluppo e progresso
Eccole li, le troveremo presto uguali a questa sorte come funghi in mezzo al mare e quando saranno visibili, le troveremo perfino misteriosamente belle. Prima, quando vedevamo crescere case lungo la costa vicinissime al mare o ponti, strade o piste di aeroporti a tagliare boschi e prati, pensavamo che erano belle cose e che tutto quel cemento era il prezzo per lo sviluppo, per il necessario stare sempre meglio e bene. Tutto sommato questa visione aveva un senso, perché era il segno di un progresso che coinvolgeva direttamente la vita degli individui, con una macchina nuova, la casa più grande, il frigorifero, la lavastoviglie, lo stereo di casa, la scuola o l'università per i propri figli. Ma adesso non è più così. Abbiamo scoperto che il concetto di sviluppo è diverso da quello del progresso, che produrre cibo di matrice chimica in abbondanza ha determinato l'insorgere di nuovi problemi, la celiachia, le allergie sempre più invadenti, i virus e i batteri sempre più resistenti agli antibiotici.
Abbiamo compreso che, per paradosso, anche grazie allo sviluppo selvaggio degli scorsi decenni, oggi possiamo investire sul progresso tutelando il patrimonio complessivo dei territori che abitiamo.
L'investimento nel comparto del turismo, del biologico agricolo, delle energie alternative ci consente di realizzare rendimenti di scala diffusi e percepibili dalla collettività.
Non si è pregiudizialmente contro le trivelle, perché tutti siamo consapevoli di avere ancora la necessità giornaliera del petrolio. Si è contro le trivelle perché sappiamo altresì, che quell'attività ci consentirà di accendere ancora per qualche tempo il motore della nostra automobile che sarà, però, sempre più vecchia e che i guadagni percepiti dall'attività estrattiva andranno a beneficio di pochi e saranno lauti per le multinazionali ma modesti per tutti gli altri, mentre il degrado e la spoliazione del territorio e delle risorse che contiene riguarderà tutti.
Già oggi esiste l'attività estrattiva in Sicilia, gli impianti di Gela, Priolo e Milazzo stanno li a testimoniarla e, quindi, la domanda che ci si pone è perché bisogna intensificarla?
In fin dei conti, siamo figli di quell'attività, con il lavoro creato da quell'attività ma anche dell'intensificarsi delle patologie tumorali per chi quelle zone le abita.
Dunque bisogna solo far finta di non vedere?
Il problema è che siamo in mezzo ad una contraddizione insanabile.
Quando trent'anni fa l'Italia si pronunciò contro il nucleare, sembrò che un consistente manipolo di sciocchi, che nel paese si ritrovò maggioranza, avesse scelto deliberatamente l'impoverimento energetico e precluso la crescita, scegliendo la via della povertà.
Oggi sappiamo che non fu così e la reazione fu quella della creazione di un tessuto economico atomizzato sul territorio e fatto di piccole e medie imprese, che hanno prodotto know how venduto in tutto il mondo e che oggi è svenduto a causa di un mercato della finanza che condiziona le nostre vite.
Oggi non c'è un Enrico Mattei che opera sul mercato del petrolio mondiale per affrancarsi dall'egemonia delle multinazionali del greggio. Oggi siamo solo di fronte non solo al rischio di vedere perduto un patrimonio di cui trent'anni fa non eravamo consapevoli di possedere, ma siamo anche di fronte alla svendita delle risorse petrolifere che sono consegnate, insieme alla perdita del patrimonio naturale, alle multinazionali di cui oggi come allora, non conosciamo il volto.
La sensazione che abbiamo oggi è quella di un'attività di razzia del territorio non di sviluppo, meno che mai di progresso.
Abbiamo compreso che, per paradosso, anche grazie allo sviluppo selvaggio degli scorsi decenni, oggi possiamo investire sul progresso tutelando il patrimonio complessivo dei territori che abitiamo.
L'investimento nel comparto del turismo, del biologico agricolo, delle energie alternative ci consente di realizzare rendimenti di scala diffusi e percepibili dalla collettività.
Non si è pregiudizialmente contro le trivelle, perché tutti siamo consapevoli di avere ancora la necessità giornaliera del petrolio. Si è contro le trivelle perché sappiamo altresì, che quell'attività ci consentirà di accendere ancora per qualche tempo il motore della nostra automobile che sarà, però, sempre più vecchia e che i guadagni percepiti dall'attività estrattiva andranno a beneficio di pochi e saranno lauti per le multinazionali ma modesti per tutti gli altri, mentre il degrado e la spoliazione del territorio e delle risorse che contiene riguarderà tutti.
Già oggi esiste l'attività estrattiva in Sicilia, gli impianti di Gela, Priolo e Milazzo stanno li a testimoniarla e, quindi, la domanda che ci si pone è perché bisogna intensificarla?
In fin dei conti, siamo figli di quell'attività, con il lavoro creato da quell'attività ma anche dell'intensificarsi delle patologie tumorali per chi quelle zone le abita.
Dunque bisogna solo far finta di non vedere?
Il problema è che siamo in mezzo ad una contraddizione insanabile.
Quando trent'anni fa l'Italia si pronunciò contro il nucleare, sembrò che un consistente manipolo di sciocchi, che nel paese si ritrovò maggioranza, avesse scelto deliberatamente l'impoverimento energetico e precluso la crescita, scegliendo la via della povertà.
Oggi sappiamo che non fu così e la reazione fu quella della creazione di un tessuto economico atomizzato sul territorio e fatto di piccole e medie imprese, che hanno prodotto know how venduto in tutto il mondo e che oggi è svenduto a causa di un mercato della finanza che condiziona le nostre vite.
Oggi non c'è un Enrico Mattei che opera sul mercato del petrolio mondiale per affrancarsi dall'egemonia delle multinazionali del greggio. Oggi siamo solo di fronte non solo al rischio di vedere perduto un patrimonio di cui trent'anni fa non eravamo consapevoli di possedere, ma siamo anche di fronte alla svendita delle risorse petrolifere che sono consegnate, insieme alla perdita del patrimonio naturale, alle multinazionali di cui oggi come allora, non conosciamo il volto.
La sensazione che abbiamo oggi è quella di un'attività di razzia del territorio non di sviluppo, meno che mai di progresso.
domenica 23 novembre 2014
Nessuno sfugge alle colpe dei padri né a quelle dei mafiosi
Don Giuseppe Puglisi avrebbe accolto quel ragazzo. La cosa più sensata che ho letto è stata il suggerimento di far svolgere la cerimonia della Cresima al figlio del carnefice del prete di Brancaccio, proprio nella cappella dove questi è sepolto. Ma dubito che un tale segnale sarebbe stato davvero colto nel suo dirompente significato e il Cardinale Romeo si trova a dover fronteggiare le povere cose di umana ragione, non proprio quelle ideali e, quindi, per prevenire quelle che sarebbero state le voci di critica, secondo me anche di coloro i quali oggi condannano la sua scelta, ha vietato a X Graviano di partecipare alla cerimonia collettiva in Cattedrale. A lui la Cresima verrà data altrove. Ha fatto bene o male? Se il ragazzo che frequenta il CEI, il collegio esclusivo dei gesuiti, è degno di ricevere il sacramento della Cresima ha fatto male. Accanto alla tomba del beato Puglisi o altrove è lo stesso, sia che sia degno o meno. Tuttavia, non possiamo far finta che in questo come in altri casi, il Mistero del Sacramento non c'entra nulla ma c'entra la cerimonia che c'è dietro, gli orpelli che la sostengono. Se io fossi stato al posto (me ne scuso con il Cardinale) di Sua Eccellenza Romeo, avrei chiesto (o imposto?) a tutti i partecipanti colleghi di X Graviano, di ricevere il Sacramento della Cresima nel più sperduto e povero eremitaggio della Sicilia, in segno di solidarietà cristiana con il ragazzo costretto (senza colpa?), a farsi carico delle odiose malefatte del padre. Chissà quali e quante critiche si sarebbero sollevate in questo caso, perché in questo modo anche agli altri (senza colpe) sarebbe stata sottratta la solenne cerimonia in Cattedrale. Quindi, per quanto questo possa significare, sono convinto che qualcuna cosa avesse fatto il Cardinale, non sarebbe sfuggito alle critiche e di tutte quelle che poteva fare, questa é stata la più saggia, o quantomeno che tale possa ritenersi in questi tempi così colmi di opportunismo, pelosa morale, ipocrisia imperante.
venerdì 21 novembre 2014
Dalle rinnovabili alle trivelle. Il doppio salto mortale della Sicilia sulle fonti energetiche.
È una vera e propria sberla quella che è arrivata dalle rivelazioni de la Repubblica, sull'accordo firmato dal Governo Crocetta e le multinazionali del petrolio. Il Governatore ha concesso le autorizzazioni alle trivellazioni nel Canale di Sicilia, accompagnate dalla garanzia che le royalty restino invariate, a prescindere dalle decisioni del Parlamento Regionale. In cambio, i magnati del petrolio hanno garantito il mantenimento degli attuali livelli occupazionali negli impianti di Gela, Milazzo e Priolo. Grazie alla botta, scopriamo che l'Italia è considerato il terzo paese produttore di idrocarburi in Europa, dopo Norvegia e Regno Unito, che la Lucania è diventata una specie di Texas, che in pieno Adriatico rischiamo di avere piattaforme italiane, con cui fare a gara con quelle Croate a chi estrae di più dallo stesso giacimento e che il Canale di Sicilia galleggia su un mare di altrettanto petrolio. Poi scopriamo che, tra gli altri, Romano Prodi a maggio scorso, sul quotidiano il Messaggero, perorava l'incentivazione delle trivellazioni, che tale incentivazione porterebbe l'Italia, entro il 2020, ai livelli di produzione del 1990, che l'investimento per i prossimi sei anni sarebbe di 15 miliardi di euro, per 25.000 posti di lavoro, per un risparmio di 5 miliardi sulla bolletta energetica e 2,5 miliardi di gettito fiscale. Una vera manna che il Governo nazionale non si è lasciato sfuggire. Infatti, scopriamo che il decreto sblocca Italia, all'art. 38, avoca al Governo nazionale i permessi per la prospezione, ricerca e coltivazione dei nuovi campi di petrolio e gas. Tutto bene, quindi. Non proprio. In questi anni, i giganti del petrolio hanno trovato un grosso ostacolo nei Governi regionali locali, i quali avevano il potere di rilasciare le concessioni ma nessun maggior agio sulle royalty. Situazione ancora più stringente per la nostra Regione, che ha riconosciuta la legislazione esclusiva su Industria e produzione Industriale. Ma il problema è stato bypassato allo stesso modo degli altri. Infatti, il rapporto si è invertito e in cambio dei permessi, alle Regioni sono stati garantiti maggiori diritti sulle royalty e sono venuti meno tutte le belle parole sul vero oro della nostra penisola, quello del turismo e della salvaguardia ambientale. Il caso della Basilicata è emblematico, tra il 2008 e il 2012 Eni e Shell hanno pagato alla regione quasi 500 milioni in royalties.
E in Sicilia? Il 14 Novembre è saltata fuori la notizia della sottoscrizione dell'accordo e da allora si sono fatti sentire Greenpeace, Ficarra e Picone, il Sindaco di Pantelleria e il WWF, i quali hanno sollevato il loro allarme al Governatore Crocetta. A fronte di questo, il tema delle royalty è stato riveduto. Secondo il Governatore, da oggi fino al 2020, dalle attività estrattive la Regione incasserà tra i 350 e i 500 milioni€. Secondo Greenpeace, invece, le stime sono ben più basse. Nel 2012, dalla attuale attività estrattiva, la Regione e i Comuni, complessivamente, hanno incassato 29 milioni€. Da oggi al 2020 fanno appena 180 milioni€. Per arrivare ai numeri indicati da Crocetta, bisognerebbe potenziale le estrazioni di 10/17 volte quelle attuali. Intanto, il Canale di Sicilia continua ad essere fonte di contese. Ieri per il confine delle acque territoriali entro le quali erano, e sono, obbligate a gettare le reti le nostre marinerie. Per questo la richiesta in sede di politica comunitaria, era quella di estendere le zone di protezione ecologica. Nel 2013, due pescherecci di Licata e Scoglitti furono obbligati dai maltesi a fare rotta nel porto di Cospicua ma gli interessi in conflitto non sono più quelli legati alla pesca ma al petrolio. Infatti, con un ultimo Decreto di Aprile 2013, il Governo Monti decise di rivendicare quei fondali a scopo di estrazione petrolifera, ben oltre il limite delle acque territoriali e in una zona contesa tra Malta e la Libia. In sintesi, fino a ieri in Sicilia l'attenzione era rivolta al Turismo e alle fonti energetiche rinnovabili, con il corollario di inchieste e scandali sui parchi eolici e solare termico. Oggi, invece, l'attenzione si è spostata sulle trivelle. Sarà l'effetto del progresso e dello sviluppo.
Fonti: La Sicilia; La Stampa; Greenpeace; Repubblica Palermo.
lunedì 17 novembre 2014
Prove generali di malessere quotidiano ed esistenziale
Mi rendo conto, essere felici quando qualcuno piange è crudele ma, per la verità, questa volta più che essere felice mi viene da ridere. Si perché oggi associo due notizie paradosso che sembrano burle. Sul treno Aulla Pisa frequentato da pendolari, ci piove dentro. I passeggeri aprono gli ombrelli per non bagnarsi, pubblicano le foto su F/B e Trenitalia si scusa. "La carrozza era stata riconsegnata ad agosto dalla ditta che ha eseguito il lavoro di manutenzione e corredata dal relativo certificato di conformità. Il mezzo è adesso in officina, dove saranno effettuate verifiche più approfondite.
Se queste confermeranno la causa, Trenitalia muoverà le opportune contestazioni alla ditta che ha eseguito la manutenzione straordinaria". Poche ore prima, la già Ministra Livia Turco piange in diretta alla 7 durante una trasmissione televisiva. Sta male perché in tanti di sinistra non si iscrivono più al Pd, operai, lavoratori ecc. e dice: "Chiedo a Renzi di avere considerazione di queste persone, faccia uno sforzo inclusivo, la sinistra non è un ferro vecchio". È vero, abbiamo avuto vent'anni di Berlusconismo, peccato che ogni volta che si è presentata l'occasione di staccare la spina a quella politica, ed anche quando era staccata, quella classe dirigente-dirigista ha sempre provveduto a riattaccarla e nessuno saprà mai se nel farlo, nella loro testa c'erano i lavoratori. Perché tanto han fatto per loro, che hanno finito con l'estinguerli. Lacrime di coccodrillo? No. In realtà la Turco, con tutto il parterre di quella classe politica, non è mai stata capita. Infatti come si dice? Chi ci capisce (alla Turco e company) è bravo. E noi lo sappiamo, non siamo bravi
Se queste confermeranno la causa, Trenitalia muoverà le opportune contestazioni alla ditta che ha eseguito la manutenzione straordinaria". Poche ore prima, la già Ministra Livia Turco piange in diretta alla 7 durante una trasmissione televisiva. Sta male perché in tanti di sinistra non si iscrivono più al Pd, operai, lavoratori ecc. e dice: "Chiedo a Renzi di avere considerazione di queste persone, faccia uno sforzo inclusivo, la sinistra non è un ferro vecchio". È vero, abbiamo avuto vent'anni di Berlusconismo, peccato che ogni volta che si è presentata l'occasione di staccare la spina a quella politica, ed anche quando era staccata, quella classe dirigente-dirigista ha sempre provveduto a riattaccarla e nessuno saprà mai se nel farlo, nella loro testa c'erano i lavoratori. Perché tanto han fatto per loro, che hanno finito con l'estinguerli. Lacrime di coccodrillo? No. In realtà la Turco, con tutto il parterre di quella classe politica, non è mai stata capita. Infatti come si dice? Chi ci capisce (alla Turco e company) è bravo. E noi lo sappiamo, non siamo bravi
domenica 9 novembre 2014
L'incanto della luce. La cupezza del buio
Palermo è una città meravigliosa. Ne parlavo con un mio amico Lucano il quale, come molti, se n'è già innamorato. Tra le cose che ha osservato, nei giorni della sua permanenza, c'è stata la percezione della capacità dei palermitani, di far pensare che qualunque cosa stanno facendo sembra sia essere la più difficile, complicata e complessa sulla faccia della terra. E naturalmente gli riesce sempre benissimo e sono i più bravi nel farla. Che ne so, se guardi la commessa di un negozio qualunque, con tutto il rispetto per tutte le commesse, sembra che stia facendo chissà quale lavoro di importanza spaziale. Ed effettivamente lo è a pensarci bene. Sopratutto se quel lavoro, qualunque lavoro, non è improvvisato. Ma a volte a Palermo le cose vanno diversamente. Ho spiegato al mio amico che qualche anno fa circolava un post carino dal titolo: Sei di Palermo se, p.e. hai pensato almeno una volta di aprire un pane e panelle a Milano. I palermitani sono convinti di fare chissà quali affari con il minimo sforzo. Tuttavia, non ho ancora visto alcun panellaro aprire una panelleria a Milano. Il resto dei palermitani, invece, lo ha pensato anche se non hanno mai fatto una panella. Succede, quindi, che questo atteggiamento lo tengano anche coloro i quali, improvvisamente, si reinventano p.e. impresari di eventi artistici e musicali e che diventano, da un giorno all'altro, esperti nell'organizzazione di concerti jazz. Nonostante fior di professionisti, per anni, hanno educato Palermo al Jazz ecco che dal nulla dietro una quinta, anzi una quintina, si esibiscono fior di jazzisti del calibro di Franco Cerri, Enrico Rava ecc. Perché in questi casi, le cose si fanno in grande. Nessun vero palermitano comprerebbe mai una panella fatta a Milano, perché puzza di fregatura. A Palermo, invece, sa che le panelle può comperarle a pochi euro e fatte bene ed è perché sembra una cosa facile da fare che tutti pensano di poterle vendere a tonnellate anche a Milano. Ma il jazz? Siccome pare essere la nuova frontiera del business, ci si inventa espertissimi di musica jazz, a dispetto della sua intrinseca natura. Una musica manifesto di rivolta, di libertà, di rivendicazione di giustizia di un intero popolo che a Palermo, adesso, assume una connotazione profondamente diversa anzi, profondamente contraria senza che nessuno dica nulla, tutti asseverati ad una indolenza per la quale si critica tutto, per sopportare poi qualunque approssimativa pratica. Così, quando un locale è di tendenza solo perché ad animarlo c'è un signore che arriva direttamente dalle aule parlamentari (e non è una nota di credito), anche se è uno scantinato ristrutturato per l'occorrenza e si sta stretti, ecco che come per magia tutti zitti in fila per due, a far finta che la panella sia fatta d'oro ed è semplice farina di ceci. Perché i palermitani sono così, snob inside che fanno finta di non sapere che a Milano una panelleria fallirebbe in men che non si dica, a meno che non sia qualcuno che le panelle le sappia fare davvero.
martedì 4 novembre 2014
Produzione e redistribuzione di denaro in tempi di crisi
Anche oggi sono felice perché sono riuscito a trovare un nesso tra due notizie che ho sentito e letto. La prima la ascolto alla radio. Secondo un autorevole studio, nel nostro paese il problema non è la produzione di denaro ma la sua redistribuzione. Le seconda la leggo su live Sicilia e riguarda il caso dei tre burocrati dell'assemblea regionale siciliana che hanno scritto al Presidente Ardizzone invitandolo a “revocare spontaneamente", l'illegittimo provvedimento” che fissa a 240.000€ il tetto per lo stipendio dei super burocrati dell'Ars
- http://m.livesicilia.it/2014/11/04/il-tetto-da-240-mila-euro-non-ce-fretta-chi-sono-i-paperoni-di-palazzo-dei-normanni_560327/ -
L'unica opzione politica possibile, in queste condizioni, è quella dell'ortodossismo marxista. La domanda se è ancora concepibile il riconoscimento di un simile diritto acquisito negli anni, e
garantito dalla pensione, mi pare più che legittima. Siamo di fronte ad un superburocrate improduttivo direttore del servizio della biblioteca e dell'archivio storico dell'ars, che ancora oggi guadagna per questo stratosferico e difficile lavoro 338.763,30 euro lordi, e ad un ingegnere trentenne che si occupa di un progetto per realizzare una stampante 3D (l'ho incontrato qualche settimana fa in una pizzeria vicino villa Niscemi a Palermo), che per sopravvivere è costretto a fare il cameriere.
domenica 19 ottobre 2014
Il problema delle prospettive viste da me
Approfitto di un post di Maurizio Carta e di un commento di Francesco Ferla per farle alcune farneticazioni. Carta ha scritto per essere commentato: Cosa faresti se oggi fosse l'ultimo giorno della tua vita? Ferla ha precisato che forse la domanda difficile da fare sarebbe: Cosa faresti oggi se ti restano quarant'anni di vita? Ma anche 20 o 10, aggiungo io.
Infatti, questa domanda cambia la prospettiva. L'ultimo giorno da vivere persiste in una logica di vita compiuta e soddisfatta, come risultato della somma di una valutazione comunque e per forza di cose positiva, in vista della fine. Ma qui c'è poco da valutare positivamente. Sicché il modo migliore per guardare al futuro e non farsi deprimere è chiedersi cosa fare il primo giorno dei prossimi 14.600. E allora si che c'è da deprimersi, perché per cambiare un paese è necessaria una presa di coscienza collettiva. Sento le critiche alla manovra del Governo che arrivano dalle Regioni. Critiche? Il Governo dice una semplice cosa che nessuno vuol capire ed affrontare da anni, razionalizzate le risorse e tagliate gli sprechi. Quanti sprechi ci sono e che vediamo ogni giorno alla Regione Sicilia? E quanti nei nostri Comuni?
Quanto bisogno ci sarebbe di solidarietà tra di noi, per la difesa non dei privilegi ma dei diritti, primo di tutti quello al lavoro. Per farlo bisogna rinunciare alle guarentigie accumulate in quarant'anni, appunto. Non lo confessiamo nemmeno a noi stessi perché siamo vili e impauriti ma quando sentiamo di licenziamenti in massa, quelli che il lavoro continuano ad averlo il pensiero recondito che fanno è, mors tua vita mea e quelli che non ce l'hanno pensano, commune naufragium omnibus solacium.
Ecco magari il primo pensiero della prima giornata dei prossimi quarant'anni potrebbe essere invertite l'assunto di un modo di fare che ci portiamo dietro da 2000 anni.
venerdì 10 ottobre 2014
È nata a Palermo la prima scuola di arti circensi. Ecco come si diventa trapezisti, equilibristi e giocolieri
Quand'ero piccolo mi chiedevo da quale zona fantastica della Terra arrivassero quegli straordinari uomini e donne capaci di volare, arrampicarsi, contorcersi, saltare o rimanere in equilibrio su un filo o su una piramide umana, che ammiravo ad occhi aperti ogni volta che i miei genitori mi portavano al Circo.
Infatti, ancora adesso è plausibile chiedere ma dov'è che si impara a fare il trapezista, piuttosto che il giocoliere o il contorsionista? Ebbene, la risposta finalmente arriva da un gruppo di artisti palermitani che hanno aperto a Palermo la prima Scuola di Circo contemporaneo, Circ'opificio in Via Lanza di Scalea n. 960.
I genitori spesso lamentano la difficoltà di educare al movimento i propri figli ma la disciplina e la costanza necessarie per la pratica della maggior parte delle attività fisiche mal si concilia con la fantasia, l'interesse e la scarica adrenalitica che contengono la miriade di videogiochi e apparati tecnologici facilmente reperibili a casa dagli adolescenti. Invece, le attività circensi di giocoleria, acrobatica, parkour, acrobatica aerea, equilibrismo, attore di circo, danza contemporanea praticati al Circ'opificio, forse consentono meglio a bambini e adolescenti particolarmente vivaci e intelligenti, e proprio per questo scarsamente interessati ad applicarsi alle tradizionali attività sportive, di esprimere in modo diverso e originale la propria verve artistica. Provare non costa nulla, anche per gli adulti che vogliono finalmente soddisfare la recondita curiosità che si trascinano dietro da anni, basta tel. 340/3928905 - 331/8533184 o scrivere alla email: collettivodibottega@gmail.com
venerdì 3 ottobre 2014
La superclasse finanziaria transnazionale e l'esigenza di trovare nuovi obiettivi collettivi
Non trascorre giorno senza che qualcuno non ci ricordi che viviamo in un tempo senza storia, che i sogni di giustizia sociale del 900 sono irrealizzabili, che la società odierna è liquida, che non c'è più nessuna morale e nessuna etica. Quindi non ci sono più classi, non c'è più alcuno spirito di lotta ne nessuna necessità di darvi luogo. Certamente non è più possibile ed è anche inutile guardare al passato, alle ideologie che sono state tanto contestate e che tanto hanno dato alla storia. Ma pensare che oggi non c'è alcun bisogno di lottare è fuorviante. Non lottiamo più perché sappiamo che è inutile, perché tutti sappiamo che nessuno Stato, Regione, Comune può mettere mano al portafoglio per continuare a fornirci i servizi, il lavoro, l'assistenza. Ma anche questo non è vero del tutto. Tuttavia, è vero che ogni forma di lotta è diventata una guerra tra poveri. La difesa di una tutela conquistata nel 900 è diventata privilegio per pochi, perché non è estensibile. Persino la distinzione tra padrone e operaio, datore di lavoro e dipendente è fuorviante, perché entrambi sono sottoposti alle determinazioni del mercato e il mercato, come afferma Umberto Galimberti, è un entità astratta e non codificabile e proprio per queste sue caratteristiche, non è possibile organizzare la lotta o la resistenza contro.
È complicato rintracciare le responsabilità di questa situazione, bisognerebbe condurre un'analisi profonda ma qualcosa si può identificare. Se non ci sono più classi o, meglio, se oggi ha poco senso la lotta tra le classi che abbiamo conosciute, non dobbiamo ignorare che esiste ed è dominante una superclasse, una vera entità che sfugge al controllo di qualsiasi organo statuale perché tutto il sistema occidentale è piegato ai suoi voleri. Non che la superclasse finanziaria transnazionale, che risiede tra USA ed UE, abbia particolari poteri per decidere, per esempio, tutte le guerre, solo qualcuna, e noi non viviamo in un sistema dove tutto è già deciso o predeterminato. Ma la superclasse finanziaria transnazionale possiede modi, strumenti e uomini, per indirizzare le contro reazioni a quanto succede nel mondo partendo dalla tutela dei propri interessi. La società è liquida, tutto ci appare incerto, non abbiamo più morale o etica solo perché non c'è più un solo obiettivo di quelli che hanno sostenuto le nostre idee negli ultimi 60/70 anni e non ce ne sono in vista di nuovi. Basterebbe individuare un nuovo obiettivo collettivo e condivisibile, per riconsegnare il tempo alla storia e trovare un nuovo antagonista, quantomeno in Occidente, alla Superclasse di cui sopra. La missione di chiunque voglia dirsi di sinistra, o meglio progressista, è solo questa.
giovedì 18 settembre 2014
Il consumo non più sostenibile
Il padre di Vincenzo è stato un bancario. Vincenzo è diplomato ha 30 anni, da due coltiva un orto con il quale rifornisce di prodotti agricoli gli abitanti del suo quartiere. Con il suo lavoro riesce a mantenere senza sfarzi e vizi la sua famiglia, moglie e un figlio, pagare bollette e affitto e ad accantonare per il risparmio 300,00€ l'anno.
Il padre di Giuseppe ha fatto il ferroviere per 35 anni, dal 1991 percepisce onorevolmente la sua pensione retributiva. Il figlio Francesco ha quasi 50 anni è laureato ha un lavoro precario, vive in un monolocale acquistato dai genitori e il massimo cui aspira è una pensione sociale, che conta di sommare ad un piccolo gruzzolo che non si sogna di toccare, maturato con il sistema del risparmio forzato da venti anni.
Praticamente vivrebbe di stenti se non fosse per l'aiuto dei suoi genitori, fin quando ci saranno.
Ne Giuseppe, ne tantomeno Vincenzo sono eccessivamente tristi o hanno la percezione di essere poveri. Entrambi hanno un'automobile, a Giuseppe l'hanno regalata, a Vincenzo il meccanico gli ha fatto un notevole sconto sull'ultima riparazione. Giuseppe è single e va quasi regolarmente a prendere l'aperitivo con gli amici e si veste con relativa eleganza da H&M.
Potremmo continuare, perché questo è lo spaccato preistorico della società futura. Quella attuale è al capolinea. Così com'è non può andare avanti, lo scenario che si aprirebbe altrimenti è quello che abbiamo visto in pellicole come 1997 Fuga da NewYork o Blade Runner uscito nelle sale poco tempo dopo.
Società estremamente divaricate, con una moltitudine (troppi per tenerli a bada) di disperati che popolano città ghetto con milioni di abitanti, generate dalla degenerazione di un sistema produttivo votato al semplice consumo, sempre proiettato all'ascesa e all'aumento del reddito da impegnare nei cosiddetti beni di consumo, fino all'ultimo centesimo. Peccato che attualmente il consumo si regge solo sul debito. Infatti, sono ormai anni (ancora pochi per rendersene veramente conto) che il consumo non produce più ricchezza ma povertà, che il lavoro prodotto dall'alto serve solo a fabbricare denaro che però è sempre più insufficiente per soddisfare veramente il costo delle società occidentali.
Per rendersene conto basta guardare all'odierna genesi del lavoro. Basta osservare come è nato negli ultimi 60 anni e a come nasce oggi. Non più controllato dall'alto, con la creazione di posti di lavoro in grandi strutture produttive, pubbliche o private, di servizi o di beni, ma generato dal basso, dalle nuove esigenze e il cui bene più grande e insostituibile è il tempo. Specie per le nuove generazioni.
Il tempo può diventare la moneta corrente del futuro, sulla quale fondare un nuovo sistema di retribuzione. Il denaro, infatti, non è più sufficiente per soddisfare le esigenze dei servizi alle persone.
Gli enti pubblici tagliano i servizi sociali, l'assistenza sanitaria, le pensioni, lo stipendio, per chi ancora lo riscuote. Oggi il lavoro non è più pagato sulla base del tempo trascorso sul luogo di produzione. È impossibile. Quindi ci sono i contratti part-time di 18 ore settimanali ma tutti sappiamo che realmente, i titolari di quei contratti lavorano molto di più senza nessun garanzia.
Nuovi schiavi che sottostanno alla negazione dei loro diritti, per non perdere quell'unica possibilità che il sistema del consumo ancora offre. L'esempio classico è quello della grande distribuzione.
Tutti sappiamo che i grandi centri commerciali chiuderanno i battenti nel giro di pochi anni ma continuiamo a pensare di tirarli su, perché crediamo sia la nuova industria. O ce lo fanno credere. Non siamo nuovi a fenomeni di questo genere. Quando furono costruiti gli impianti petrolchimici in Sicilia, la Fiat, i grossi centri industriali del triangolo compreso tra Milano, Torino e Genova, tutti pensavano avrebbero garantito lavoro e ricchezza per sempre. La durata del sempre è stata quella di una sola generazione.
Tant'è, tutto questo non è ancora bastato e non basterà ma diventa sempre più difficile confutare questa ricostruzione specie da quando, da pochi mesi, anche la locomotiva d'Europa (la Germania) ha rallentato fino quasi a fermarsi. Per non dire degli Stati Uniti, ormai in lotta cruenta con i paesi del BRICS, Brasile, Russia, Cina, SudAfrica, per tentare di mantenere il primato di prima economia mondiale. Anche loro, però, si fermeranno presto per lo stesso motivo. Il consumo non è più sostenibile.
Il padre di Giuseppe ha fatto il ferroviere per 35 anni, dal 1991 percepisce onorevolmente la sua pensione retributiva. Il figlio Francesco ha quasi 50 anni è laureato ha un lavoro precario, vive in un monolocale acquistato dai genitori e il massimo cui aspira è una pensione sociale, che conta di sommare ad un piccolo gruzzolo che non si sogna di toccare, maturato con il sistema del risparmio forzato da venti anni.
Praticamente vivrebbe di stenti se non fosse per l'aiuto dei suoi genitori, fin quando ci saranno.
Ne Giuseppe, ne tantomeno Vincenzo sono eccessivamente tristi o hanno la percezione di essere poveri. Entrambi hanno un'automobile, a Giuseppe l'hanno regalata, a Vincenzo il meccanico gli ha fatto un notevole sconto sull'ultima riparazione. Giuseppe è single e va quasi regolarmente a prendere l'aperitivo con gli amici e si veste con relativa eleganza da H&M.
Potremmo continuare, perché questo è lo spaccato preistorico della società futura. Quella attuale è al capolinea. Così com'è non può andare avanti, lo scenario che si aprirebbe altrimenti è quello che abbiamo visto in pellicole come 1997 Fuga da NewYork o Blade Runner uscito nelle sale poco tempo dopo.
Società estremamente divaricate, con una moltitudine (troppi per tenerli a bada) di disperati che popolano città ghetto con milioni di abitanti, generate dalla degenerazione di un sistema produttivo votato al semplice consumo, sempre proiettato all'ascesa e all'aumento del reddito da impegnare nei cosiddetti beni di consumo, fino all'ultimo centesimo. Peccato che attualmente il consumo si regge solo sul debito. Infatti, sono ormai anni (ancora pochi per rendersene veramente conto) che il consumo non produce più ricchezza ma povertà, che il lavoro prodotto dall'alto serve solo a fabbricare denaro che però è sempre più insufficiente per soddisfare veramente il costo delle società occidentali.
Per rendersene conto basta guardare all'odierna genesi del lavoro. Basta osservare come è nato negli ultimi 60 anni e a come nasce oggi. Non più controllato dall'alto, con la creazione di posti di lavoro in grandi strutture produttive, pubbliche o private, di servizi o di beni, ma generato dal basso, dalle nuove esigenze e il cui bene più grande e insostituibile è il tempo. Specie per le nuove generazioni.
Il tempo può diventare la moneta corrente del futuro, sulla quale fondare un nuovo sistema di retribuzione. Il denaro, infatti, non è più sufficiente per soddisfare le esigenze dei servizi alle persone.
Gli enti pubblici tagliano i servizi sociali, l'assistenza sanitaria, le pensioni, lo stipendio, per chi ancora lo riscuote. Oggi il lavoro non è più pagato sulla base del tempo trascorso sul luogo di produzione. È impossibile. Quindi ci sono i contratti part-time di 18 ore settimanali ma tutti sappiamo che realmente, i titolari di quei contratti lavorano molto di più senza nessun garanzia.
Nuovi schiavi che sottostanno alla negazione dei loro diritti, per non perdere quell'unica possibilità che il sistema del consumo ancora offre. L'esempio classico è quello della grande distribuzione.
Tutti sappiamo che i grandi centri commerciali chiuderanno i battenti nel giro di pochi anni ma continuiamo a pensare di tirarli su, perché crediamo sia la nuova industria. O ce lo fanno credere. Non siamo nuovi a fenomeni di questo genere. Quando furono costruiti gli impianti petrolchimici in Sicilia, la Fiat, i grossi centri industriali del triangolo compreso tra Milano, Torino e Genova, tutti pensavano avrebbero garantito lavoro e ricchezza per sempre. La durata del sempre è stata quella di una sola generazione.
Tant'è, tutto questo non è ancora bastato e non basterà ma diventa sempre più difficile confutare questa ricostruzione specie da quando, da pochi mesi, anche la locomotiva d'Europa (la Germania) ha rallentato fino quasi a fermarsi. Per non dire degli Stati Uniti, ormai in lotta cruenta con i paesi del BRICS, Brasile, Russia, Cina, SudAfrica, per tentare di mantenere il primato di prima economia mondiale. Anche loro, però, si fermeranno presto per lo stesso motivo. Il consumo non è più sostenibile.
martedì 9 settembre 2014
Palermo Araba-Normanna .... E non solo
La candidatura a patrimonio dell'Umanità dell'Architettura Araba-Normanna promossa dalla Fondazione Unesco, ha contribuito ad alimentare un processo di rivalutazione culturale della città, già avviato con alcune iniziative dello scorso anno. L'affidamento della direzione artistica del Teatro Biondo a Roberto Alajmo, con Emma Dante, l'esistenza di alcune piccole gemme culturali accanto a quelle più conosciute, come il piccolo Teatro alla Guilla, solo per fare un esempio. Tale processo trova una conferma nella mostra di Palazzo Ziino sui Monumento candidati a far parte del patrimonio Unesco dell'Umanità, finanziata dal Comune di Palermo, curata dall'Architetto Francesco Ferla.
Le immagini dei monumenti ritratti offrono una visuale del tutto nuova delle meraviglie che abbiamo quotidianamente sotto gli occhi. I Mosaici bizantini, quel che hanno rappresentato nell'iconografia politica e religiosa del Regno di Sicilia, dopo mille anni riverberano ancora nel presente la grandezza da allora mai più raggiunta nell'isola.
Inoltre, la ripresa degli esterni in bianco e nero, lugubre, gotica, esaltando l'imponenza fisica di quelle costruzioni, quasi ammonisce l'osservatore palermitano che ci auguriamo possa così riflettere sul senso inverso che ha intrapreso, da almeno 60 anni a questa parte, rispetto alla grandezza degli anni ruggeriani.
Non a caso il Sindaco, Leoluca Orlando, che ha inaugurato la mostra, ha fatto cenno alla capacità di quelle costruzioni di amalgamare, in una unicità e singolarità che non ha pari in Europa, tre culture diverse e contrapposte, l'Ebraica, quella Cristiana, quella Musulmana. Chi le ha pensate e volute aveva capito che non sarebbero state le Crociate e le guerre, quindi le contrapposizioni violente, a portare la Sicilia e Panormus al centro gravitazionale dell'intero Mediterraneo. Nel nostro immaginario storico, nel passato sono esistiti luoghi magici, ormai impossibili per via della globalizzazione, e irraggiungibili ma reali, Venezia per esempio o Costantinopoli, nei quali si concentravano culture, usi e costumi diversi.
Panormus era uno di quei luoghi e noi viviamo inconsapevoli accanto alle vestigia di un regno che era riuscito nell'intento di diventare il polo, moderno per il suo tempo, culturale e politico del Mediterraneo.
Le immagini di Francesco Ferla rimandano e riflettono la grandezza dei Monumenti, nati dalla fusione di quello straordinario connubio tra culture e religioni e sono un atto politico, forse inconsapevole, certo rivoluzionario di un certo modo di fare cultura in questa città e i risultati non sono tardati ad arrivare, vista l'affluenza del pubblico variegato attratto dalla curiosità di vedere qualcosa di insolito per Palermo, non solo fotografie, non solo pittura. Le immagini della mostra, infatti, nascono dallo sguardo interpretato da un obiettivo fotografico ma sono poi il frutto finale di un'attenta rielaborazione grafica, tecnica che diventa arte. Da questo punto di vista potrebbero confondere ma solo perché, appunto da un certo punto di vista, siamo regrediti rispetto all'epoca in cui sono stati edificati i monumenti, estrema sintesi, così come le immagini che li ritraggono, della fuga da qualsiasi classificazione, tanto da essere denominati come esempio dell'architettura Araba-Normanna. È come se oggi dicessimo dell'Architettura Tedesco-Cairiota.
E non ce ne rendiamo ancora conto di tutto questo e non basteranno le nuove straordinarie immagini di Palazzo Ziino per vederci chiaro. Basta guardare al di la del proprio naso e leggere il tessuto urbano che circonda i monumenti. La città vuol certamente fare qualcosa rispetto alla loro valorizzazione. La candidatura Unesco ne è un esempio, la risistemazione dell'area attorno al Ponte dell'Ammiraglio, la mostra finanziata dall'Assessorato alla Cultura ancora un altro. Ma che dire della difficoltà di creare e far funzionare le zone pedonali in centro? Che dire della levata di scudi rispetto alla naturale necessità di togliere il parcheggio delle auto davanti Palazzo dei Normanni?
Che dire della futile indolenza nella quale siamo caduti.
sabato 6 settembre 2014
A Palazzo Ziino in mostra l'Architettura Arabo-Normanna
Sarà il primo step visivo per la valutazione dell'architettura Araba-Normanna in Sicilia e degli altri Monumenti scelti per rappresentarla nel mondo, tra i quali la Cappella Palatina con Palazzo dei Normanni, San Giovanni degli Eremiti, La Zisa, La Martorana e San Cataldo. Tra i primi a guardare le immagini di Francesco Ferla che ritraggono le Cattedrali Normanne di Palermo, Cefalù, Monreale ci saranno anche gli osservatori dell'Unesco venuti a Palermo per valutare e contestualizzare i monumenti candidati ad entrare a far parte del patrimonio dell'Umanità.
La mostra si inaugura Lunedì 8 Settembre alle 19.00 a Palazzo Ziino in via Dante e fino al 27, le immagini rimanderanno ai visitatori la bellezza folgorante dei mosaici bizantini caricati dal forte misticismo degli esterni sapientemente caratterizzati dall'architetto Ferla.
Le 35 fotografie sono state realizzate con luce radente, con un taglio "gotico" estremamente sofisticato e più sperimentale di quello cui è abitualmente adattato lo sguardo dell'osservatore. Sono di grande formato, da 70X70 fino a 200X70 cm, montate su grandi pannelli di alluminio di 0,5 mm di spessore e stampati su carta baritata. Ad inaugurare la mostra ci sarà il sindaco, Leoluca Orlando.
La mostra si inaugura Lunedì 8 Settembre alle 19.00 a Palazzo Ziino in via Dante e fino al 27, le immagini rimanderanno ai visitatori la bellezza folgorante dei mosaici bizantini caricati dal forte misticismo degli esterni sapientemente caratterizzati dall'architetto Ferla.
Le 35 fotografie sono state realizzate con luce radente, con un taglio "gotico" estremamente sofisticato e più sperimentale di quello cui è abitualmente adattato lo sguardo dell'osservatore. Sono di grande formato, da 70X70 fino a 200X70 cm, montate su grandi pannelli di alluminio di 0,5 mm di spessore e stampati su carta baritata. Ad inaugurare la mostra ci sarà il sindaco, Leoluca Orlando.
mercoledì 27 agosto 2014
La Scilabra alle prese con i Giovani
Il Piano Giovani non è fallito, è solo crollato un server. Mah, si vedrà. Tuttavia, non so spiegarmi bene il perché ma in questa vicenda le mie simpatie sono dirette all'Ass. Scilabra. So bene quanto sia difficile per una novellina, nemmeno laureata, giovane anche lei, stare seduta su una poltrona ambita da una pletora di esponenti del Pd che si sentono a buon diritto defraudati del ruolo. Evidentemente sono un inguaribile sentimentale condizionato dalle poche parole che ho ascoltato in Commissione, che mi convincono del fatto che la giovane Nelli (mi prendo la licenza di chiamarla per nome e me ne scuso) abbia agito in buona fede, che la dirigenza è, per essere buoni, scivolata su una buccia di banana forse perché non avvezza alla modernità, che nelle intenzioni del Governo il Piano G. è pensato con l'unico scopo di dirigere quante più risorse possibile ai Giovani siciliani, sottraendole alle solite dinamiche assistenzialiste e clientelari. Credo che questo basti a spiegare perché la diretta streaming della Commissione Lavoro all'Ars sia stata così poco seguita dai Giovani.
sabato 12 luglio 2014
Il tragico gioco delle parti Israelo-Palestinese
Parafrasando il detto di Carl von Clausewitz, "La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi", nel caso del conflitto Israelo-Palestinese si potrebbe dire che "la pace è la continuazione della guerra con altri mezzi". In 60 anni nessuno dei due è mai veramente uscito dalla dimensione del conflitto permanente e se per anni lo scontro è stato sostenuto dal tentativo reciproco di annientare il nemico, oggi sembra più di assistere ad un triste quanto inutile e tragico gioco delle parti. Quella di Israele che in questo caso, sentendosi aggredito, reagisce con veemenza e violenza contro un nemico sempre più sfuggente finendo con uccidere uomini, donne, bambini, alimentando la spirale ideologica di odio della quale il nemico si alimenta.
Dall'altra quella delle formazioni estremiste palestinesi che vogliono surclassare e travolgere tentando di prenderne il posto, quelle che con gli stessi mezzi aggressivi nel corso degli anni, a torto o a ragione, hanno conquistato il potere dello Stato Palestinese finendo con il democratizzarsi.
Sarebbe ora che la Comunità internazionale svelasse e interrompesse definitivamente questo ignobile gioco.
Dall'altra quella delle formazioni estremiste palestinesi che vogliono surclassare e travolgere tentando di prenderne il posto, quelle che con gli stessi mezzi aggressivi nel corso degli anni, a torto o a ragione, hanno conquistato il potere dello Stato Palestinese finendo con il democratizzarsi.
Sarebbe ora che la Comunità internazionale svelasse e interrompesse definitivamente questo ignobile gioco.
mercoledì 18 giugno 2014
A Settembre a Palazzo Ziino in Mostra l'architettura Arabo-Normanna
A Settembre a Palazzo Ziino in Mostra l'architettura Arabo-Normanna
I delegati Unesco visiteranno i monumenti di Palermo, Monreale e Cefalù per l'inserimento nella Heritage List.
A marzo scorso, è stata giudicata positivamente la proposta della Fondazione Unesco Sicilia, di avanzare la candidatura per l'inserimento dell'architettura Arabo-Normanna di Palermo, Monreale e Cefalù nella World Heritage List e il riconoscimento di patrimonio dell'umanità. Dopo la sonora bocciatura di Palermo a Capitale della Cultura Europea di qualche mese fa, è una buona notizia venire a conoscenza delle iniziative che l'Assessorato alla Cultura di Palermo sta proponendo, per far conoscere e valorizzare agli occhi dei delegati Unesco i monumenti che verranno ad esaminare il prossimo autunno.
Tra gli eventi per il marketing dell'iniziativa è prevista una mostra fotografica per settembre a Palazzo Ziino. Il titolo è eloquente "Palermo Arabo-Normanna. Le Cattedrali di Cefalù e Monreale. Candidate per l'iscrizione nel patrimonio mondiale dell'Unesco". Sarà una mostra con immagini pensate per valorizzare i monumenti Arabo-Normanni, frutto di un progetto a cura dell'architetto Francesco Ferla.
Saranno immagini realizzate con luce radente, con un taglio "gotico" estremamente sofisticato e più sperimentale di quello cui è abitualmente adattato lo sguardo dell'osservatore. Le fotografie saranno montate su grandi pannelli di alluminio di 0,5 mm di spessore e stampati su carta baritata.
Gli scopi della mostra sono quelli di valorizzare e diffondere l'architettura arabo-normanna di Palermo e dimostrare alla comunità' Unesco che la citta' fa cultura sui monumenti.
L'approccio è contemporaneo e lontano dal tipo di rappresentazione classica della nostra architettura. È stato utilizzato dall'autore la scorsa Primavera, in occasione di una mostra al Quirinale dal titolo "La Memoria Ritrovata", commissionata dal Comando Generale dei Carabinieri di Roma.
In quella occasione, Francesco Ferla ha fotografato i tesori culturali trafugati e recuperati dal "Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale".
I delegati Unesco visiteranno i monumenti di Palermo, Monreale e Cefalù per l'inserimento nella Heritage List.
A marzo scorso, è stata giudicata positivamente la proposta della Fondazione Unesco Sicilia, di avanzare la candidatura per l'inserimento dell'architettura Arabo-Normanna di Palermo, Monreale e Cefalù nella World Heritage List e il riconoscimento di patrimonio dell'umanità. Dopo la sonora bocciatura di Palermo a Capitale della Cultura Europea di qualche mese fa, è una buona notizia venire a conoscenza delle iniziative che l'Assessorato alla Cultura di Palermo sta proponendo, per far conoscere e valorizzare agli occhi dei delegati Unesco i monumenti che verranno ad esaminare il prossimo autunno.
Tra gli eventi per il marketing dell'iniziativa è prevista una mostra fotografica per settembre a Palazzo Ziino. Il titolo è eloquente "Palermo Arabo-Normanna. Le Cattedrali di Cefalù e Monreale. Candidate per l'iscrizione nel patrimonio mondiale dell'Unesco". Sarà una mostra con immagini pensate per valorizzare i monumenti Arabo-Normanni, frutto di un progetto a cura dell'architetto Francesco Ferla.
Saranno immagini realizzate con luce radente, con un taglio "gotico" estremamente sofisticato e più sperimentale di quello cui è abitualmente adattato lo sguardo dell'osservatore. Le fotografie saranno montate su grandi pannelli di alluminio di 0,5 mm di spessore e stampati su carta baritata.
Gli scopi della mostra sono quelli di valorizzare e diffondere l'architettura arabo-normanna di Palermo e dimostrare alla comunità' Unesco che la citta' fa cultura sui monumenti.
L'approccio è contemporaneo e lontano dal tipo di rappresentazione classica della nostra architettura. È stato utilizzato dall'autore la scorsa Primavera, in occasione di una mostra al Quirinale dal titolo "La Memoria Ritrovata", commissionata dal Comando Generale dei Carabinieri di Roma.
In quella occasione, Francesco Ferla ha fotografato i tesori culturali trafugati e recuperati dal "Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale".
sabato 8 marzo 2014
Al Cruise Shipping di Miami sarà presente la Sicilia con il suo sistema portuale.
È risaputo che il settore delle grandi navi da crociera in Sicilia, gode di buona salute ma resta ancora molto da fare. Al prossimo Cruise Shipping di Miami, previsto dal 10 al 13 marzo, in un'azione di co-marketing comune e per far conoscere il sistema dei porti siciliani, l'Assessorato al Turismo e i Commissari delle Autorità portuali della nostra Isola lanceranno il nostro “Welcome to the soul of the Mediterranean Sea”. In quella sede saranno presentati i nuovi servizi pensati per migliorare l'esperienza di viaggio dei croceristi in transito nei nostri porti. Tra quelli che saranno proposti dall'Autorità portuale di Palermo, c'è anche la CruisePmoCard. Si tratta di una service card che integra la curiosità dei croceristi di conoscere Palermo, con la difficoltà di scegliere il mezzo di trasporto per spostarsi nelle poche ore disponibili, con quella dello shopping e con il piacere di assaggiare il nostro cibo rinomato.
"Il segmento crocieristico – commenta l’assessore Stancheris - ha assunto un ruolo sempre più significativo, il Mediterraneo si è ormai affermato fra le destinazioni preferite a livello mondiale e, in questo assetto, i porti siciliani non possono che essere protagonisti. Infatti, nel 2012 i porti di Messina, Palermo e Catania si sono attestati fra i primi 10 italiani per numero di passeggeri. La Sicilia ha del potenziale inespresso - conclude l'Assessore - e proprio da questa constatazione nasce la nostra partecipazione al Cruise Shipping in Florida".
"Il segmento crocieristico – commenta l’assessore Stancheris - ha assunto un ruolo sempre più significativo, il Mediterraneo si è ormai affermato fra le destinazioni preferite a livello mondiale e, in questo assetto, i porti siciliani non possono che essere protagonisti. Infatti, nel 2012 i porti di Messina, Palermo e Catania si sono attestati fra i primi 10 italiani per numero di passeggeri. La Sicilia ha del potenziale inespresso - conclude l'Assessore - e proprio da questa constatazione nasce la nostra partecipazione al Cruise Shipping in Florida".
domenica 16 febbraio 2014
L'etica al tempo dell'alka seltzer
Sappiamo ormai da tempo che questi sono i tempi dell'imperelativismo etico, che equivale a nessuna etica, e quindi ognuno di noi è libero di fare ciò che vuole entro i limiti del codice penale e, per quel che riguarda la politica, entro il perimetro della Costituzione italiana. Sicchè, Renzi e il Pd sono perfettamente legittimati alla staffetta con Letta laddove riescono a trovare la maggioranza parlamentare e questa verifica passa attraverso le consultazioni al Quirinale.
Quel che mi rende perplesso di questa vicenda è l'assenza di un'azione programmatica a parità di maggioranza, perché non si capisce quel che Renzi dovrebbe fare di più di quanto non abbia fatto Letta.
Inoltre, è quasi comico che dopo 60 anni sia rimasta invariata la prassi politica di formazione dei Governi, sia nell'era dell'etica irregimentata nel rigido dogmatismo dell'utopia ideologica, sia in quella dell'etica sciolta come alkaseltzer nel bicchiere d'acqua di un tempo e di un modo di vivere rispetto al quale non abbiamo più nessun punto di riferimento. Se il bruciore di stomaco passasse tutto questo avrebbe un senso, sempre che la pasticca sia un'alkaseltzer e non una compressa di zucchero.
venerdì 14 febbraio 2014
Il sogno finisce qui. Torna il tira a campare
Ne bastava già uno Pres del consiglio nominato da una maggioranza d'emergenza, il secondo è troppo come frutto di un accordo di palazzo e non di un voto popolare. Inoltre, pensavamo di essere in una democrazia maggioritaria e invece ci troviamo precipitati nella più antica parlamentarizzazione delle crisi e delle maggioranze. Anzi, nemmeno di quelle perché quando a suo tempo si facevano, si salvano quanto meno le forme. Il pres del consiglio che sapeva di non godere più della maggioranza parlamentare andava comunque davanti alle Camere a dimettersi. Letta, invece, si dimette quasi a casa sua. Inoltre, tutti vorremmo capire quale maggioranza, per l'appunto, dovrebbe sostenere il nuovo governo. Sarà la stessa, immaginiamo, e dunque tutto questo gran discutere a cosa serve? Anche il giovane Renzi resta impigliato nella rete di palazzo, il sogno finisce qui, se mai c'è stato, e si ritorna al tira a campare della realpolitik.
lunedì 13 gennaio 2014
La crisi scombussola i vecchi assetti partoriti venti anni fa dalla trattativa Stato-mafia
C'era tanta gente al Teatro Golden per l'iniziativa organizzata dal Fatto Quotidiano, a sostegno dei magistrati che stanno indagando sulla cosiddetta trattativa Stato mafia. Con i dovuti distinguo, mi è sembrato di tornare indietro di venti anni, alla sera in cui ad un'analoga manifestazione c'era il giudice Paolo Borsellino, un mese prima della sua morte; forse perché, con evidenza, non si è ancora chiuso il drammatico capitolo aperto con la strage di Capaci e ancora prima con l'omicidio Lima. Tentando di svelare le ombre che ancora avvolgono quella stagione di sangue vengono fuori fatti già scritti in atti pubblici ma sui quali si tenta di impedire di indagare, perché da più parti la si vuole invece chiudere, attribuendone la responsabilità ai soli capi di cosa nostra da tempo in carcere. Durante la serata al Teatro Golden, il giudice Roberto Scarpinato ha spiegato i due motivi che negli ultimi mesi hanno indotto la mafia ad avanzare minacce, non solo nei confronti dei giudici in prima linea ma anche di molti di altre Procure, che si occupano di diverse inchieste. Il primo è riconducibile ai disagi odierni della componente criminale dell'organizzazione mafiosa, colpita anch'essa dalla crisi. Negli ultimi anni, infatti, si è determinato un calo del 65% degli appalti pubblici, sui quali la mafia ha sempre trovato il modo di mettere le mani e sono diminuiti anche i proventi derivati dai taglieggiamenti alle imprese, con sempre più esigue risorse. La sensibile diminuzione di capitali da rastrellare, determina una perdita di potere che attacca l'autorità della mafia sul territorio e impoverisce l'organizzazione, che incontra sempre maggiori difficoltà a provvedere al suo sostentamento ed a quello dei suoi uomini. In più, i vecchi boss sono accusati dai loro pari di pensare solo a se stessi. Emblematico al riguardo il caso di Matteo Messina Denaro, che sembrerebbe essere a corto di soldi e sempre più avvertito come un peso dai suoi sodali. Il secondo motivo proviene dal passato, da quei capi che sono invecchiati e in carcere ma ancora in vita e che il processo rischia di delegittimare. Sostanzialmente, il sospetto è che i capi di cosa nostra siano stati parte di un gioco orchestrato a livelli più alti, da persone che avrebbero dovuto rappresentare lo Stato e che invece hanno brigato per la difesa di interessi indicibili e insospettabili. Se così non fosse, bisognerebbe spiegare altrimenti, e in modo convincente, perché sia stato revocato l'ordine di uccidere per vendetta facilmente Falcone a Roma, città nella quale si muoveva senza scorta. Inoltre, bisognerebbe spiegare le dichiarazioni di Spatuzza secondo il quale, a partecipare alla preparazione dell'ordigno brillato in via D'Amelio non c'erano solo picciotti mafiosi ma anche persone che lui non conosceva. Sembrerebbe, quindi, che i capi mafia hanno fatto il lavoro sporco per altri, che in cambio del favore, e in un secondo momento dell'abbandono della strategia stragista, si sono fatti carico di continuare a condividere con essi risorse, prebende e garanzie. La crisi, però, sta contribuendo a cambiare le cose. Analogamente a quanto avviene in ambito politico, anche nella mafia si cerca e si richiede l'avvento di un nuovo uomo forte. Riina con le sue aperte minacce, apparentemente inutili per uno nella sua posizione, tutela la sua storia, interpreta il ventre molle della mafia e avanza l'ennesima richiesta alla Stato, fermare i magistrati che indagano sulla trattativa. Questo vuol dire che quei magistrati sono esposti ad un duplice pericolo, quello che proviene dal basso dei ranghi mafiosi, da parte di qualche nuovo boss che potrebbe volere accreditarsi con un nuovo attentato per colmare il vuoto lasciato dai capimafia in carcere e dall'alto, da chi ha ancora l'esigenza di tenere coperto il coacervo malefico di potere e collusioni tra eversione nera, massoneria, alta finanza e mafia degli ultimi venti anni. La fusione di questi due interessi basta a giustificare la rinnovata aggressione armata alla Magistratura.
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